Giovanni Terzi
Incontro Alfredo Rapetti, in arte Cheope, figlio di Mogol che mi vedrà protagonista insieme a Sergio Pappalettera, Saturnino, Marco Lodola e Fabio Novembre del Manzoni Cultura, il format di Edoardo Sylos Labini, lunedì prossimo alle 20, sul palco del teatro Manzoni di Milano,
Scrivere testi di canzoni e dipingere quale assonanza e quale differenza?
«Scrivere è terapeutico ma non liberatorio, dipingere contenendo il gesto genera una liberazione fisica e mentale. Potrei dire che dipingere è il mio canto».
Quando ha iniziato a scrivere canzoni e quando a dipingere?
«Sono nato con il pennello in mano, ho cominciato a scrivere intorno ai 15 anni. Ho pubblicato la mia prima canzone a 21, ho ritardato la mia prima mostra fino ai 38 anni».
Mi sono sempre chiesto se chi scrive canzoni ha orecchio musicale ed è intonato.
«La scrittura in musica ha bisogno di un automatismo di leggibilità, di una comprensione immediata, anche perché la canzone si muove nell'aria. La pittura può essere meno diretta, più portata all'evocazione».
Perchè Cheope e poi perché ha messo anche il soprannome di suo padre Mogol?
«Cheope per l'amore che ho sempre avuto per l'archeologia. Da 10 anni mio padre per decreto del Presidente della Repubblica ha trasformato il suo nome d'arte in cognome, che è diventato il cognome dei suoi figli, di tutti i nipoti e avanti nei secoli in Rapetti Mogol e ci tiene molto lo si usi in modo completo».
Un episodio OFF della sua vita?
«Mi ricordo il giorno in cui si manifestò la mia identità di pittore di parole ossia alla morte di mia nonna Margherita e dipinsi di nero i ripiani dei suoi armadi e cominciai a scriverci sopra».
Ad un giovane cosa consiglierebbe come carriera, quella di pittore o di paroliere?
«Consiglierei di fare qualcosa che lo rappresenti, qualcosa che senta profondamente suo, dando credito al suo istinto e al suo gusto, lavorandoci con passione e in modo sincero».
Come nasce un quadro è come un testo musicale?
«Qualsiasi opera d'arte per me nasce da una visione, bisogna solo imparare a mettersi in ascolto e riconoscere l'input da decodificare. La vita è la grande ispiratrice ma l'arte è figlia del cielo».
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