È l'Etna che sbotta Gabriele Muccino, mentre racconta I migliori anni, il suo nuovo film in fase di ultimazione e in uscita il 13 febbraio 2020, distribuito da 01. Una commedia corale che attinge al vissuto del regista romano. Quindi è febbrile, malinconica, speranzosa. «Ognuno di noi ricorda un'età con nostalgia», dice Gabriele alla Casa del Cinema, dove ieri si sono viste brevi scene di lavorazione. Ragazzi a Trastevere, che fronteggiano i celerini. Micaela Ramazzotti in jeans che fa gli occhi dolci a Kim Rossi Stuart. Claudio Santamaria che dice a Pierfrancesco Favino: «La puzza de fame è mejo che esse disonesti». I migliori attori del nostro cinema, insomma, alle prese con una narrazione - soggetto e sceneggiatura sono di Muccino -, che va dagli anni Ottanta ai giorni nostri, dall'adolescenza all'età adulta. C'è il «lento» e lo ska, le vite dei quattro amici in cerca del loro destino sullo sfondo della Città Eterna e la cantante Emma Marrone che debutta come attrice per la gioia dei fan: diventa Anna e cambia look. Sembrano le premesse per bissare il successo del precedente A casa tutti bene (10 milioni d'incasso e un David). E pare che Muccino, invecchiando, riesca a esprimere compiutamente tutto quello che ha dentro. Un magma che ribolle di creatività e sentimento.
A che punto di lavorazione è con I migliori anni?
«Ogni giorno sto in battaglia: devo tornare a casa con le scene risolte come le ho in testa. Qui è successo che le scene si risolvessero da sole: la magia di quanto accade sul set. Il film vuole avere un sentimento di felicità e vitalità, raccontando la vita nelle sue sfumature».
Stavolta racconta 40 anni di storia italiana: ce ne parla?
«Parto dal 1982 e arrivo ai giorni nostri. I personaggi vengono seguiti dai 16 anni all'età matura. Si tratta di quattro amici, tra i quali la ragazza Gemma, ossia Micaela Ramazzotti, che diventerà centro di coesione del gruppo. Compromessi, tradimenti, scontri con la vita, sempre insidiosa: nella sua drammaticità, la vita è terribilmente malinconica e dolce. Ma dà anche speranza».
Quanto c'è di autobiografico, nel film?
«Quelli sono i miei anni. Né è detto che da giovani si sia felici: a 15 anni ero infelice; a 30 ho trovato il modo per comunicare che cosa ho in testa, con la regia. Questo film contiene un'epicità che nessun mio film ha mai avuto. Ognuno di noi, con il suo DNA, nella sua microstoria contiene la Grande Storia. Nel film recitano anche i miei due figli».
C'è un tema centrale?
«Il tema del cambiamento. Pensiamo ai grandi cambiamenti avvenuti nell'arco di tempo descritto: la fine degli anni di piombo; la caduta del Muro di Berlino; l'inchiesta Mani Pulite, che aprì una stagione tutt'altro che di cambiamento e l'11 settembre. Nulla è stato più come prima. Poi, il Vaffa Day,che pare preistoria, ma è un momento in cui si è creduto nel cambiamento».
Si tratta di un film anche politico?
«Noi siamo individui che contano su chi ci governa. Siamo politicanti, senza saperlo. E i miei personaggi, affrontando 40 anni di storia, affrontano la vita che riflette un'attitudine politica. Non bisogna essere passivi davanti agli eventi, ma qui ci sono quattro protagonisti individualisti e alla finestra degli eventi».
Lei guarda al cinema del passato, dato che I migliori anni riecheggia C'eravamo tanto amati di Ettore Scola?
«Sono allievo di Age e Scarpelli, Scola e Sonego, Gasmann e Manfredi. Il mio non è il remake di quel film: i tempi sono troppo cambiati. Ma ci sono elementi, che diventano omaggio. Noi siamo i film che abbiamo visto. E vorrei comunicare agli spettatori ciò che sono diventato. Scola e Sonego erano figli della guerra, della Resistenza. Nella mia generazione l'ideologia politica è assente: siamo i figli di quelli che avevano la verità politica in tasca».
Gli anni Ottanta vanno di moda e il suo film parte da lì: nostalgia?
«Non è nostalgia, né vintage: il film racconta ogni epoca al presente. E nel presente non c'è nostalgia. La cosa più vistosa è quanto siamo cambiati noi, gli italiani. Come Rodolfo Sonego ed Ettore Scola raccontavano la loro vita e loro stessi, io racconto la mia».
Ci parla dei personaggi del film? Chi interpreta chi?
«Favino è Giulio, figlio d'un gommista. In una Roma del centro storico, dove ho vissuto e nella quale abitavano commercialisti e gommisti, meccanici e avvocati. Guardavamo alle periferie come alle colonne d'Ercole. Non è più così. Kim Rossi Stuart è Paolo, barista orfano di padre, Claudio Santamaria fa il borghese Riccardo.
Poi c'è la Ramazzotti, orfana di madre costretta a trasferirsi a Napoli da una zia. Né scorderà il suo grande amore. È un personaggio vitale. Io sono attratto dal mondo femminile: non lo conosco e vorrei conoscerlo meglio. Ma non arriverò neanche al primo capitolo!».
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