In campagna elettorale vale tutto, anche cercare di intercettare e, forse, perfino compiacere chi andrà al voto per la prima volta... O questo non vale? Ieri, in prima pagina sul Corriere della Sera, si prendevano in giro i politici che tentano di fare i «gggiovani», come si usava dire qualche anno fa, e che sono sbarcati su TikTok nella speranza di conquistare i ragazzi. E la presa in giro ci sta, anche per coerenza con l'argomento social, ovvero il regno di video, meme e canzonature varie; presa in giro che però, diciamo, risulta un pochino a senso unico, come certe trasmissioni televisive, quelle in cui si toccano e criticano tutti, tranne gli amici. Che, di solito, stanno tutti da una certa parte politica: a sinistra. Per dire: Conte, Calenda, Berlusconi e Renzi sono citati fra coloro che non farebbero bella figura, nel cercare di ingraziarsi i ragazzini con mezzi in cui questi ultimi sono abilissimi, e i suddetti, anche per ragioni anagrafiche, molto meno. Si cita poi Salvini, in controcanto, per dire che lui ha familiarità coi social, ma troppa...
Ora, non si cita Meloni, perché è giovane. E non si cita il Pd, perché... Già, perché, visto che il Partito democratico è anch'esso su TikTok? Si dirà: un partito non ha età. Vero, ma su TikTok si va con il proprio volto... Insomma, ieri Letta ha subito spiegato che anche il TikTok della sinistra è antropologicamente diverso, perché è «serio», non è un TikTok «ridicolo», «un luogo di cabaret», e infatti hanno postato un video di Alessandro Zan, e Orfini poi ha specificato che lui «NON» andrà su TikTok, e insomma: questo non è voler fare i giovani, è fare i seri (chissà) e, quindi, non è da prendere in giro.
Ma in campagna elettorale vale tutto, o quasi, anche l'ironia coi paletti, quella che arriva fino a dove c'è chi non voglio toccare, e lì cambia rotta, e non c'è più ilarità, perché lì sono seri.
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