Raffaello ha solo dipinto. Non è stato un uomo complesso come Leonardo, un pensatore curioso di tutto; non è stato come Caravaggio, un maledetto che vive una vita piena di contrasti; non è stato un artista come Michelangelo, pittore, scultore, poeta, architetto. Non ho nessuna empatia con Raffaello, mi sforzo di smontarne la grandezza, ma senza riuscirci. Però, cosa pensare dell'artista? Raffaello ha portato a termine moltissime opere, tutte sublimi. Leonardo era pigro, dilettante, tecnicamente limitato (come nel caso dell'Ultima cena a Santa Maria delle Grazie a Milano), e gli sono stati riconosciuti una ventina di dipinti. E mentre Caravaggio, morto giovane come Raffaello, ha vissuto ai limiti della legge, Raffaello ha dipinto soltanto. E ogni volta ha inventato un capolavoro. I pittori, come il suo maestro Perugino, tendono a ripetersi, a riprodurre un modello, hanno un archetipo di riferimento. Lui no. Ogni volta inventa un'immagine nuova. Opere che la critica disconosce sono di Raffaello: sono opere diverse da quelle che ci aspettiamo, perché Raffaello non è solo Raffaello, è anche Giorgione, è Caravaggio, è Michelangelo, è Parmigianino. Lui è tutto: nessuno è più tutto di lui.
Questa premessa è ispirata da una considerazione di Giorgio Vasari. Vasari è un grande scrittore, un buon pitto- re, allievo di Michelangelo, e ovviamente grande ammiratore di Raffaello. Più di tutti sente la grandezza di Leonardo. E in effetti Vasari scrive di Leonardo che «nessuno gli fu pari». In realtà lui non poteva apprendere niente da Leonardo, perché la sua intelligenza era troppo sfuggente, troppo varia, troppo instabile. Vasari è allievo di Michelangelo, e inventa la parola «maniera», Manierismo. Cosa vuol dire Manierismo? Brutta parola. In realtà, molto semplicemente, indica la maniera di quei maestri che sono più grandi della natura, che hanno superato la natura. E chi sono? Sono Michelangelo e Raffaello. I «manieristi» non guardano più «la natura», ma prendono la grammatica e la sintassi di Michelangelo e Raffaello e la fanno propria. Vasari, che dà il suo meglio come scrittore, ha conosciuto Michelangelo, ha probabilmente incrociato Raffaello, sicuramente avrà intravisto Leonardo, morto nel 1519. Raffaello muore nel 1520.
Vasari scrive storie meravigliose in cui racconta l'indole, l'interiorità degli artisti. Tocca le corde più profonde dell'animo di Leonardo, però lo racconta soltanto, senza le immagini. Vasari, non potendo illustrare le sue parole se non con incisioni, insufficienti e senza colore, racconta. Nella seconda edizione delle Vite, del 1568, ci sono xilografie dei volti degli artisti. I volti dunque, non le opere, perché Vasari è interessato a raccontare l'anima degli artisti, la loro vita. Ed ecco cosa scrive di Raffaello: «Con ciò sia che quasi la maggior parte degli artefici passati avevano sempre da la natività loro arrecato seco un certo che di pazzia e di salvatichezza, la quale, oltra il fargli astratti e fantastichi, fu cagione il più delle volte che assai più apparisse e si dimostrasse l'ombra o l'oscuro de' vizii loro che la chiarezza e splendore di quelle virtù che giustamente fanno immortali i seguaci suoi: dove per adverso in Rafaello chiarissimamente risplendevano tutte le egregie virtù dello animo, accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia o costumi buoni, che arebbono ricoperto e nascoso ogni vizio, quantunque brutto, et ogni mac hia, ancora che grandissima. Per il che sicurissimamente può dirsi che i possessori delle dote di Rafaello non sono uomini semplicemente, ma dèi mortali».
Raffaello è come Dio, migliora «la natura». Dio ha creato un mondo di cui gli uomini rappresentano la perfezione, perché hanno dentro di sé qualcosa di divino con cui continuano la creazione del mondo: le città, i palazzi, i dipinti, la letteratura, la musica, sono una continuazione della creazione. Rispetto agli animali, che pure hanno una struttura genetica simile alla nostra, l'uomo ha la coscienza della morte. L'animale non sa quando e come morirà, non pensa alla fine della sua vita, l'uomo, invece, sa che morirà. Nella certezza della nostra morte c'è il desiderio di Dio, per cui Dio è una creazione dell'uomo, al di là del fatto che esista o non esista. L'uomo ha bisogno di Dio perché non vuole morire e quindi immagina un altro mondo in cui lui e i suoi cari continuino a vivere. Ma la capacità di sentire Dio non è legata solo alla fede. Nulla ci avvicina di più a Dio della creazione artistica, che ci fa vivere oltre la vita. Leopardi è vivo, anche a duecento anni dalla stesura dell'Infinito, è vivo nel suo testo e nelle sue parole. Non occorrono le sue ossa. È inutile cercare i cadaveri dei grandi artisti e scrittori. L'artista muore, ma resta quello che ha creato.
Se questo ragionamento vale per ogni artista, a maggior ragione vale per Raffaello; Vasari lo esprime perfettamente, dandoci la certezza che quello che ha fatto Raffaello è un prolungamento della creazione di Dio e della bellezza del mondo, una bellezza assoluta, senza limiti, una dimensione nella quale non ci sono «vizi», non ci sono «macchie». Forse.
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