Il remake di "Suspiria" seduce ma non fino in fondo

Nel rendere omaggio al cult di Dario Argento, Guadagnino dà alla luce un'opera fondata sulla fascinazione estetica. Lungaggini e sottotesti disarmonici minano in parte il risultato

Il remake di "Suspiria" seduce ma non fino in fondo

Sotto una pioggia torrenziale è arrivato il primo titolo italiano in concorso, l'atteso "Suspiria" di Luca Guadagnino.
Composto da sei episodi e un epilogo, il film è ispirato a quello scritto e diretto da Dario Argento nel 1977 ma più che un remake, può dirsi una reinvenzione.
Il "Suspiria" di Guadagnino non è un horror in senso classico bensì una vertigine estetica abbastanza fine a se stessa, impreziosita da un cast internazionale e quasi interamente al femminile.
Guadagnino mette insieme, con taglio immaginifico e piglio delirante, la dimensione corporea e quella onirica, la psicanalisi e l'arte contemporanea, l'horror metafisico e il melodramma, col risultato di plasmare un'opera di indubbio fascino ma in parte disarticolata.
Siamo a Berlino, nel 1977. Susie Bannion (Dakota Johnson), una giovane americana, arriva nella città da cui è misteriosamente attratta fin da bambina. Dopo aver superato un provino, accede alla Markos Tanz Company, compagnia di danza guidata da Madame Blanc (Tilda Swinton), celebre coreografa. Susie ottiene il posto lasciato da Patricia (Cloeth Morez), ballerina sparita nel nulla dopo aver rivelato al suo psicanalista (Lutz Edersdorf, alias di nuovo Tilda Wilson) di sentirsi in pericolo. Assieme a una compagna, Sara (Mia Goth), la ragazza si trova a indagare sulla vera identità della direttrice e del suo entourage. Il sospetto è che la scuola sia la copertura di una congrega di streghe dedite a pratiche occulte.
Susie si guadagna il ruolo di protagonista in quella che sarà l'ultima rappresentazione del balletto "Vulk", la cui moderna coreografia è in realtà il travestimento necessario a mistificare la natura sabbatica dell'esperienza. Ragazze seminude squarciano la tenebra con vesti fiammeggianti e mosse da pulsioni archetipiche. Sono performance che restano impresse, in cui la danza si rivela linguaggio ad altissima densità simbolica. Difficile immaginare un modo più incisivo di rappresentare il corpo come un'architettura divina e, allo stesso tempo, uno strumento esoterico.
Quasi si tratti di un processo alchemico, Guadagnino segue quanto dettato dal suo istinto autoriale abbandonandovisi con una fiducia che rasenta la fede e che rischia, in un paio di punti, di portarlo alla rovina. Per quanto si colga la magia del suo "Suspiria", non tutto il pubblico astante finisce sotto l'incantesimo. Gli ingredienti sono di primordine ma vengono lasciati decantare troppo a lungo.
Non ci sono tensione e terrore puri. Ci si trova coinvolti solo dal grande appeal visivo della narrazione.
Tradito dalla rischiosa ambizione di mettere in scena il Male primigenio, il regista lo declina in troppi ambiti: l'inconscio, il femminile, la maternità, la compagine storica e politica. In questo modo la rappresentazione che ne dà perde forza anziché acquistarla.
E' come se ci trovassimo di fronte ad un sontuoso rituale cinematografico che non sortisce fino in fondo l'effetto per cui è nato: alla bellezza e alla precisione del gesto registico non corrispondono armonia e nitidezza di significato.

Anche l'idea che il potere si manifesti come misericordioso o fatale in base al capitale d'amore posseduto dalla persona su cui è esercitato, rimane confusa.
Ad ogni modo, si tratta di un film intrigante e fortemente ipnotico, almeno quanto la colonna sonora firmata per l'occasione da Thom York dei Radiohead.

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