Poi spesso non finisce lì. La morte, lo shock, il dolore. E a seguire l'inchiesta giudiziaria. Come nel caso di Pino Daniele. Talvolta è la stampa a far da detonatore ai fascicoli dei magistrati. Oppure la vox populi. O infine è la fumosità degli inevitabili accertamenti post mortem a far aprire altre indagini.
Come nel caso di Luigi Tenco, trovato morto nel suo albergo durante il Festival di Sanremo: dopo 48 anni e svariati magistrati, aleggia ancora il sospetto che non sia stato un suicidio e che in quella stanza dell'Hotel Savoy, la più lontana dalla hall, sia entrato qualcun altro. Idem per Kurt Cobain, il cantante dei Nirvana trovato morto l'8 aprile del 1994 nella sua casa di Seattle: era, dicono, quasi in overdose di eroina quindi come avrebbe potuto spararsi con un fucile?
Così per Brian Jones che fondò i Rolling Stones e si sfondò di droghe prima di esser trovato morto nella piscina di casa sua nel luglio del 1969: aveva fegato e cuore disfatti dagli eccessi e quindi fu bollato come un decesso «per incidente» finché oltre vent'anni dopo una «presunta» testimonianza sul letto di morte del costruttore Frank Thorogood che all'autista di Brian Jones avrebbe confessato, tanti anni dopo, di esser stato lui l'assassino. Praticamente un romanzo. In realtà, essendo stata una confessione solitaria, non si è mai sollevata dal semplice ruolo di sospetto. Dopotutto l'alone di goloso mistero che, soprattutto una volta, aleggiava intorno ai musicisti e alle rockstar favoriva il germogliare di sospetti e, spesso, di dicerie alle quali neppure la magistratura ha saputo resistere. Prendete Jim Morrison dei Doors, sul quale ogni treperdue si riesumano teorie e complotti che non stanno né in cielo né in terra.
Altre volte, come in quello dolorissimo e recente di Michael Jackson, sono stati i riscontri delle analisi mediche e autoptiche a mettere in moto la giustizia. Troppo strane le condizioni del decesso, troppa distonia tra le dichiarazioni dei familiari e del suo staff con le ultime immagini di Michael Jackson impegnato nelle prove dei concerti che non avrebbe mai fatto. Le medicine prese o non prese. Le telefonate e le email misteriose. Gli orari che non coincidevano: un fascicolo giudiziario era praticamente inevitabie. Risultato: il medico Conrad Murray, quello che gli somministrò il propofol letale è stato condannato a quattro anni per omicidio colposo in quanto avrebbe addirittura esercitato «pazzia medica».
Di certo, la vita imprevedibile, spesso isolata o notturna degli artisti ha favorito la nascita di leggende o ha aperto gli spiragli per far entrare i magistrati. Il caso di Lucio Dalla è ancora sotto gli occhi di tutti per le vicende legate all'eredità. Ma pochi ricordano che, quando Rino Gaetano morì in un incidente stradale sulla Nomentana di Roma erano quasi le quattro del mattino del 2 giugno 1981, il suo diventò un caso di malasanità tale da provocare anche un'inchiesta. Al suo arrivo in coma al Policlinico Umberto I non c'erano posti disponibili e quindi furono contattati altri cinque ospedali di Roma senza alcun risultato: non c'era una struttura in tutta Roma che lo potesse accogliere. Spirò due ore dopo. E, nonostante sarebbe probabilmente morto ugualmente, la magistratura fece i propri accertamenti senza peraltro arrivare a nulla. Finite le polemiche, cessata l'indignazione e ora pochi ricordano che uno dei cantautori più creativi della storia italiana sia morto in quel modo, senza neppure trovare l'ultimo letto per l'ultimo respiro. E così capita spesso. L'enfasi che dilata le emozioni dopo la morte di un idolo è un fuoco poderoso ma spesso si rivela di paglia.
E si spegne dopo poco, quasi per autocombustione, lasciando un refolo di mistero che pure quello lentamente si disperde. A resistere, quasi sempre, è soltanto la musica. Come tutte le forme d'arte, prescinde dai sospetti e dalle miserie della cronaca.Semplicemente vive.
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