Se si tradisce per le proprie idee «Non è la fine»

Quattro amici d'infanzia alle prese con la realtà, fra politica e delusioni

Andrea Caterini

Il principio è un funerale. E non potrebbe esserci inizio più adatto per questo nuovo romanzo di Angelo Mellone: Fino alla fine. Romanzo di una catastrofe (Mondadori, pagg. 512, euro 21). Il funerale è quello di Chiodo, uno dei quattro personaggi principali di questa storia, personaggi che abbiamo conosciuto anche in un romanzo precedente, Nessuna croce manca (uscito nel 2015): gli altri tre sono Claudio, Dindo e Gorgo. Il primo romanzo potremmo dire che era generazionale. Le storie di quei ragazzi erano singole ma ancora legate indissolubilmente: a un uguale sogno, a una stessa radice, a una promessa comune in questa visione Taranto (che è lo scenario del primo e del secondo libro), è tutto quanto il mondo, come dire una sineddoche. Chiodo, Dindo, Claudio e Gorgo erano legati da una battaglia politica. Ma, a guardare bene, la loro ideologia di destra e la stessa idea di Patria erano la sostituzione ideale del padre e della paternità. Come se quella Patria (padre anziché madre) fosse l'autorità da difendere e non a cui opporsi. Da difendere proprio perché nasceva dentro ognuno di loro da un sentimento di assenza.

Ora, però, quei quattro ragazzi sono cresciuti. Il libro intero potremmo dire che ha come argomento principale il «tradimento»: delle amicizie, delle ideologie, dei sogni, della giovinezza. Claudio è divenuto un uomo politico importante, un viceministro; Dindo è un intellettuale di successo, chiamato a dirigere la maggiore galleria d'arte contemporanea di Roma; Gorgo, la sola rimasta nella città natale, una giornalista; Chiodo, dopo un lungo pellegrinaggio londinese e poi romano, divenuto un tatuatore stimato, ha deciso di tornare a casa, a Taranto, per combattere l'ultima sua battaglia, quella per la chiusura definitiva della fabbrica dell'acciaio, dentro cui, tempo prima, aveva lavorato da operaio.

Ora, è chiaro che Mellone in questo lungo romanzo che ha il pregio di mantenere sempre alta la tensione attraverso le storie dei suoi quattro personaggi e il siderurgico, voglia raccontare l'antropologia di una Nazione intera. Ma in che modo? Per Mellone, la faccenda dell'inquinamento della più grande fabbrica d'acciaio d'Italia, evidentemente l'Ilva, è una bufala architettata dai media e da vari gruppi ambientalisti. Qui va cercato il cuore teorico di questo romanzo. L'autore vuole farci capire come la nostra percezione della verità abbia preso il sopravvento sulla verità. La realtà percepita attraverso una studiata campagna mediatica e social è quella realtà che, pur essendo lontana dal vero, ci lascia la comodità di non pensare, di accettare pedissequamente una notizia data. Allora, però, se tutto è falso e ci si convince che messi fuori da quel falso non possiamo essere nulla, il vero non ha più senso, nonostante le conseguenze, nonostante la morte, la dissoluzione di tutto. È la forma più ipocrita di conformismo una rivoluzione da tastiera.

Mentre leggevo questo nuovo libro, anche riprendendo la lettura di Nessuna croce manca, ho pensato che Mellone avesse voluto raccontare una cosa precisa, ovvero che la politica non è che il tradimento dell'ideologia. O, detta meglio: che le idee sono destinate a essere tradite quando si scontrano con la realtà. Infatti, se il primo romanzo era, per così dire, romantico, questo secondo non può che essere un libro politico e civile, che guarda da una posizione che è già di fine della storia (se è vero che furono i romantici quelli che più di tutti hanno creduto al potere della Storia). Il solo a essere rimasto dentro quel romanticismo è Chiodo. Chiodo è un romantico e un ingenuo, un uomo che vive ancora dentro un'illusione. Potremmo dire qualcosa di più. Chiodo, a differenza di tutti gli altri, ha conservato dentro di sé una porzione d'adolescenza oltre misura. Forse è proprio questo il suo dramma, non essersene riuscito mai a liberare, non essere stato capace a superare il punto zero dell'esistenza in cui la vita cambia inesorabilmente. È quella sua incapacità di cambiamento che gli è stata, a ben vedere, fatale, che lo ha portato a uccidersi.

Ma si è detto trattarsi soprattutto di un romanzo di tradimenti. Occorre interrogarsi in ultimo su cosa sia davvero. Ho idea che il tradimento, in questo romanzo, sia la sola forma di vita e di sopravvivenza. Se tutti i personaggi tradiscono qualcosa e qualcuno, e finanche loro stessi, lo fanno perché tradire significa propriamente trasmettere, cioè donare. In quel tradimento, tutti i personaggi del libro non fanno che donare agli altri e al mondo una parte di se stessi. In un mondo in cui tutto è permesso (direbbe Dostoevskij), dove neppure la cultura è capace di ripristinare il senso di realtà e verità, dove la morale è al suo grado zero, il solo modo per restare uomini è donarsi, donarsi pienamente, e credo che dei quattro protagonisti sia paradossalmente proprio Claudio, l'uomo politico, il personaggio più pulito, nel senso di più fedele a questa missione di cui sente di doversi far carico, quella appunto di donarsi sapendo che questo vuol dire gettarsi, solo, nella ressa, anche a costo di restare fuori da una comunità che ha smesso di riconoscerci, anche a costo di perdere ogni certezza, le amicizie e la famiglia: di perdere tutto.

Quel tradimento, quindi, è per Mellone l'ultimo gesto umano possibile, un soffio che per un momento riaccende la vita, ce ne fa percepire ancora la verità, anche davanti a una bara, a quella bara che non contiene solo il corpo di Chiodo e, a pensarci, della giovinezza di tutti, ma pure quella di un Paese che ha perso l'orientamento una Nazione che ha sostituito la realtà (che ha sempre un volto terribile e mai consolante) con il suo comodo surrogato: una demente battaglia «socialmente utile».

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