In rete è tutto un fiorire di articoli che consigliano in quale ordine guardare i film di Star Wars oppure che cercano di fare un sunto ardito per ricordare «dove eravamo rimasti». Tutto pur di intercettare il grandissimo interesse che si viene sempre a creare intorno all'arrivo di un nuovo capitolo della saga ideata da George Lucas nel 1977. Figuriamoci ora che è arrivato nelle sale di mezzo mondo (in Italia da ieri su 800 schermi, negli Stati Uniti da domani) quello che la Disney ha annunciato come l'episodio conclusivo, Star Wars: L'ascesa di Skywalker, diretto da J.J. Abrams, autore anche del penultimo Star Wars - Il risveglio della Forza (l'ultimo era Star Wars - Gli ultimi Jedi di Rian Johnson). Per capirci, abbiamo citato solo gli ultimi tre film ma l'intera saga è composta da 9 titoli, senza considerare i due cosiddetti spin off Solo e Rogue One (in realtà ce ne sarebbe anche un terzo, Il Mandalorian, sulla piattaforma on line Disney+ che però in Italia sarà visibile solo dal 31 marzo 2020).
Vi gira la testa? Andiamo per ordine. Semplificando al massimo possiamo dire che, «nella galassia lontana lontana», siamo all'ultima sfida tra l'Ordine finale dei Sith, guidato dal malefico Imperatore Palpatine e la Resistenza del Generale Leia. Il primo è interpretato da Ian McDiarmid che ritorna così nella saga 14 anni dopo Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith, mentre la seconda ha sempre le sembianze di Carrie Fisher che però è morta nel 2016. Una presenza postuma che potrebbe apparire discutibile ma che trova giustificazione nelle parole del regista Abrams, il quale ha scritto il film con Chris Terrio (premio Oscar per Argo): «La amavamo profondamente. Senza di lei, non saremmo mai riusciti a dare una conclusione davvero soddisfacente alla saga degli Skywalker. Con il sostegno e la benedizione di sua figlia Billie, abbiamo trovato un modo per onorare l'eredità di Carrie utilizzando alcune sequenze inedite di Episodio VII».
Ma la battaglia tra la Forza e il suo stesso lato Oscuro è forse l'aspetto più interessante con lo scontro/incontro fra la Jedi predestinata, Rey (Daisy Ridley) che scopriremo avere un cognome importante, e l'ambiguo leader del primo Ordine Kylo Ren (Adam Driver). Intorno a queste due figure centrali, il cui rapporto non risparmierà colpi di scena, si muove una serie di personaggi che sembrano acquistare molto spazio quando appaiono ma che poi, nell'economia generale del film che dura ben due ore e ventuno minuti, perdono centralità e anzi, alla fine, un po' si disperdono. Così accanto ai due solidi e veterani coprotagonisti buoni interpretati da John Boyega (Finn) e Oscar Isaac (Poe) troviamo delle new entry come Richard E. Grant nei panni del cattivo generale dell'Ordine finale e due donne forti come Naomi Ackie, nel ruolo di Jannah, nuova alleata della Resistenza, e Keri Russell in quello dell'abilissima e ironica Zorri Bliss. Ovviamente ogni spettatore avrà la sua opinione sul fatto che il personaggio di Kylo Ren magari non sia all'altezza di quello di Darth Vader, così come quello di Rey rispetto a Luke Skywalker. Ma sarebbe un errore rimpiangere il passato di quando eravamo tutti più giovani (e comunque per un momento, a tranquillizzarci, compare anche Harrison Ford).
La critica, soprattutto quella statunitense che si è concentrata molto sulle difficoltà produttive (il film in un primo momento era stato affidato al regista Colin Trevorrow), sembra che stia prendendo con le pinze questo terzo episodio della cosiddetta «trilogia sequel». La verità è che Star Wars: L'ascesa di Skywalker è un film immerso completamente nello spirito del tempo e, soprattutto, in quello produttivo della Disney che, fra i tanti marchi che ha acquistato, con Marvel si fa concorrenza da sola (c'è infatti molto del mondo familiare di Avengers).
Un film che tiene conto di tutto il suo passato di riferimento evidenziato in una messa in scena mortifera con scenografie di un mondo allo sfascio, filologicamente pieno di rottami. Un film pieno di addii. In cui chissà se, dopotutto, domani sarà un altro giorno.
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