«È come quando sei al un funerale di uno che conoscevi appena. Cerchi di fare la faccia triste; di mantenere laria grave e pensosa. Ma è fatale: prima o poi ti scapperà da ridere». La stessa cosa - ma a termini invertiti - accade al comico: «Io ho passato una vita a ridere e a far ridere. Però non posso negarlo: mi succede spesso di pensare alla morte». Nonostante questa somigli ad una contraddizione in termini: «Perché il comico è un portatore di allegria, di salute; di vita, insomma - riflette Diego Abatantuono - è come il medico di famiglia. Lui sta lì per curarti. Non puoi aspettarti che si ammali; proprio lui. E quanto a morire, poi
il tuo medico no: non può morire!».
E invece stavolta il comico muore. A modo suo, naturalmente. E a raccontarlo sarà proprio un comico come Abatantuono, in Vengo a prenderti stasera: la commedia con la quale - il 2 ottobre al teatro Manzoni di Milano, per la produzione di Caremoli e Ruggeri - debutterà nella regia teatrale.
«Già. Era tanto che mi proponevano questo passo. Lo rimandavo solo perché sempre troppo assorbito dai set. Ma io sono curioso per natura; e alla fine mi sono deciso a tornare a quel teatro dal quale, in fondo (quasi quarantanni fa, al Derby di Milano: tecnico delle luci prima, cabarettista poi) ho cominciato. Anche stavolta si trattava di far ridere. Ma su un argomento serio. Il più serio di tutti, anzi».
Scritta da uno degli autori di Striscia la notizia, Lorenzo Beccati, la commedia racconterà d'un comico fallito (Mauro di Francesco) cui si presenta la morte in persona (Ninì Salerno) per fissargli il fatale appuntamento.
«Prima che da lui è già passata a prendere tanti suoi più illustri colleghi: Totò, De Sica, Stanlio e Ollio, Belushi, Troisi. Li ha condotti tutti nel Paradiso dei Comici. Ma il nostro eroe farà di tutto per rimandare lestremo passo. Fino al finale, e clamoroso, colpo di scena».
Un bella sfida: Abatantuono e la Morte.
«Ma il trucco cè. E si vedrà benissimo. Io, Di Francesco e Salerno siamo uniti dalla stessa cerchia di complicità ed affetti, fin dagli anni eroici dei Gatti di vicolo Miracoli. Siamo abituati a sbeffeggiare tutto e tutti. Sbeffeggeremo anche la morte. E poi i comici sono come i bambini: asessuati, eternamente infantili, non possono invecchiare. Figuriamoci morire. Così sdrammatizzeremo il tema, e forse il pubblico uscirà da teatro più sereno, più leggero. Se la morte è questa - penseranno - non è poi una cosa così tragica».
Labbinamento, solo apparentemente contraddittorio, fra riso e il pianto, saffaccia spesso nella vita dei comici.
«Come in quella di chiunque. Solo che addosso a noi fa più effetto. Attenzione, però: quello del comico divertente al lavoro ma triste a casa è solo un luogo comune. Verissimo, invece, che un grande comico è sempre anche un grande drammatico (pensate a Gassman, Sordi, Tognazzi, Totò). Mentre non capita praticamente mai il contrario».
E quando, nella sua vita di comico, saffaccio il dramma?
«Quandero al culmine del successo e divertivo lItalia intera col personaggio del terruncello. Avevo 22 anni e tutto il mondo ai miei piedi. In dodici mesi girai 18 film da protagonista, come I fichissimi o Eccezzzziunale
veramente. Ma la persona che curava i miei interessi mi tradì. Io non potevo sapere che abusando così della mia popolarità mi sarei buttato via. Lui si. Così lui diventò il personaggio più importante del suo settore; e io, una volta spremuto, rimasi tre anni senza lavorare. Sognavo che un regista importante mi telefonasse, uno tipo Pupi Avati, pensavo. Finchè lincredibile avvenne: Pupi telefonò davvero. Mi propose Regalo di Natale. E Diego Abatantuono tornò a vivere».
Arrivando a festeggiare, fra poco, quarantanni di carriera. Con quali progetti?
«Ho appena finito di girare Il peggior Natale della mia vita, di Alessandro Genovesi, accanto a Fabio De Luigi, Laura Chiatti, Cristiana Capotondi. Poi sul web, in occasione degi Europei di calcio, io e Luca Serafini conduciamo Gli europeoni: allusione al nostro ragguardevole peso, nonché allequivalente passione per il football che non dimagrirà mai.
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