Ci sono la Moldavia, la Transnistria, l'Ucraina. Ai tempi in cui ancora non si chiamavano così, bensì, con un unico termine, «Bessarabia». Era la zona che, secoli prima, si chiamava Valacchia, terra del principe Besarab, dove, guerra dopo guerra, invasione dopo invasione, imparentamento dopo imparentamento, si ritrovarono fianco a fianco rumeni, tartari, turchi, russi, greci, armeni, e ovviamente ebrei, ortodossi, cristiani, musulmani... Oggi, la Bessarabia è sempre terra di conflitto. Ma lo era, ancora, nei primi decenni del Novecento, ai tempi della nonna di Cristina Stanescu, che è nata a Milano grazie al coraggio di quella donna che, nel secolo scorso, a cinquant'anni trascinò la famiglia lontano dalla Romania della dittatura comunista che dominava il Paese dalla fine della Seconda guerra mondiale e che li perseguitava e depredava dei loro beni perché «altoborghesi» (il bisnonno di Cristina Stanescu era governatore della Bessarabia).
Giornalista Mediaset, esperta di casa reale inglese, già autrice di Quando le foglie ridono (Sem), ora Cristina Stanescu ha ripreso la storia della nonna e, soprattutto, una vecchia scatola di foto e lettere da lei ereditata, per dare vita a una nuova storia: La linea della vita (Sem, pagg. 240, euro 18). Complice un po' di tempo libero nel lockdown, Stanescu si è appassionata alle vicende, narrate per filo e per segno nelle lettere, e a un ambiente e a un mondo quasi sconosciuti, che ha ricostruito grazie a un lungo lavoro di studio e all'aiuto di un suo ex professore di Lingua e letteratura rumena («Lo chiamavo a Bucarest di notte... Ma altrimenti come puoi raccontare come fosse Timisoara nel '27, che aperitivi prendessero, che cosa cucinassero?» dice Stanescu).
È una storia segnata dal destino, come suggerisce il titolo: nel giorno dei suoi sedici anni la protagonista Nina (proprio come è accaduto, nella realtà, alla nonna dell'autrice) incontra una zingara che le legge la mano e prevede per lei tanta longevità quante difficoltà. La linea della vita di Nina, insomma, è lunghissima, ma accidentata: e, in effetti, così sarà, in parallelo alle vicende che travolgono il suo stesso Paese. Siamo nel 1926, suo padre è prefetto della Bessarabia e Nina sta per combattere le sue molte guerre personali all'interno di un mondo che, dalle guerre, è perennemente attraversato. Un matrimonio non semplice, l'amore infinito per i figli, il desiderio di indipendenza di una giovane donna si intrecciano alla Grande Storia, il nazionalismo, l'invasione di Hitler, il regime comunista (già spietato prima di Ceausescu)... La tragedia collettiva di un secolo, il Novecento, e di una parte d'Europa, la cui ferita si è appena riaperta, si legano alla distruzione dell'universo personale di Nina, alla perdita della felicità famigliare, alla nostalgia per i tempi perduti e spensierati alla corte del re Ferdinando Hohenzollern-Sigmaringen e alle feste universitarie a Bucarest. «Un mondo straordinario - dice l'autrice - eppure quasi sconosciuto, lontano, bohémienne, con tradizioni e riti meravigliosi, una corte frequentata da artisti e intellettuali, e una dinastia da fare impallidire Carlo e Camilla...».
E, poi, c'è il legame quasi sconcertante con l'attualità. «Tre settimane dopo aver finito tutto, è esplosa la guerra.
Ero esterrefatta, perché quello che racconto è una sorta di prequel: certe mentalità, dinamiche, un sentimento di popolo e di difesa della patria a tutti i costi erano identici, cento anni fa. Mi aveva già detto tutto mia nonna. È quello che racconto: stare sotto una dittatura comunista e fare qualunque cosa per difendere la propria patria. C'era già tutto».
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