In Italia, è diventato impossibile uscire di casa senza che qualcuno ti scopra un talento. Il problema è che è diventato impossibile fidarsi dei talenti e, in certi casi, anche di chi li scopre. Dal Duemila ad oggi, abbiamo contato, per difetto, una trentina di format televisivi atti a scoprire le più svariate capacità segretamente sopite in ognuno di noi. Considerando in quanti vengano reclutati per ogni programma, ogni anno, per mettersi alla prova davanti alle telecamere, è statistico che ognuno di noi non abbia scampo.
È questione di giorni. Ma presto qualcuno finirà col sancire che sappiamo cucinare le uova alla Benedict come nessuno, o che siamo i più bravi del Belpaese con l'ukulele o a toccarci la punta del naso con la lingua o a scrivere intere missive facendo a meno delle vocali. Probabilmente, come in quella dannata profezia, la nostra fama non durerà più di quindici minuti, ma intanto ci sarà. Incontrovertibilmente. Perché l'ossessione del talento, in un'epoca che ne è priva, è diventata implacabile. Se perfino il direttore creativo della Pixar, Pete Docter, uno che di favole se ne intende, consiglia «Impegnati! Alla fine il duro lavoro e la passione hanno la meglio sul talento», un motivo ci sarà. Manca solo che qualcuno lo ascolti. Ma siamo in una società di tuttologi che smania per cercare competenze specifiche, perciò le crea. Imbottendole dentro a eserciti di illuse meteore. Come si chiamava quella con i capelli rossi che ha litigato con Manuel Agnelli a XFactor tre anni fa? Ma chi ha vinto l'anno scorso?
XFactor, Amici, Masterchef, Ballando con le stelle, Tale e quale, Sanremo Young, Italia's Got Talent, Ti lascio una canzone, Game of Talents, The apprentice, Music Farm, Notti sul ghiaccio, Bake Off, Pequeños gigantes, Standing Ovation, Il cantante mascherato, Tu sí que vales...
Per carità, poi ogni tanto, dai format, escono anche le Emma Marrone o i Maneskin. Ma tutti gli altri?
Dall'Operazione Trionfo al tonfo alla velocità della luce. Che siano aspiranti Briatore, piccoli Barynikov o seguaci di Cracco. Ogni giorno, in tv, gli spot annunciano un nuovo talent o una nuova app per vendere l'usato. Con un'involontaria, inquietante, concomitanza di timing. Quanti cantanti potrà mai avere il Paese del bel canto? Tito Schipa non nasce tutti i giorni e comunque non andrebbe a Music Farm. Starebbe a sgranchirsi l'ugola in defatiganti gorgheggi dall'alba al tramonto, a esercitarsi al pianoforte, a studiare storia della musica e sfogliare spartiti. Qui c'è tanto la sensazione che, anche se in qualcuno germogliasse qualcosa, verrebbe crudelmente abortito al fuoco di una fama repentina. Rosolato ai tempi della tv, alle esigenze dell'edizione, alla durata della puntata. Dentro il rapper, fuori l'aspirante manager, lo chef ai bootcamp, il tenore ai fornelli. O viceversa? Non sappiamo più. Tutti dentro a una voragine vuota a far sballottare talenti accennati, dall'ossatura lieve. Un «caso» con addosso la curiosità pubblica. Post, selfie e fenomeni a tempo. Tutti a portare in giro la gloria appena conosciuta che però è solo in prestito, nella maggior parte dei casi. Bisogna vedere se si è pronti alle luci e, peggio, all'ombra che viene dopo. O alla maglie strette della selezione veloce. O ai voti digitati sul cellulare o alle collere pubbliche dei social. Certe volte, essere «scoperti» è la cosa peggiore che possa capitare. Non a caso, «scoperti» è sinonimo di «nudi».
Fino a quando ce ne si sta accucciati ad accarezzare potenzialità inesplorate (vere o presunte che siano) tutto sembra, appunto, ancora possibile. Ma quando dalla potenza si viene catapultati nell'atto, nascondersi diventa impossibile. Principalmente a noi stessi. Ecco, siamo in una società che catapulta nell'atto. In qualche modo e con i suoi tempi. Indipendentemente dal fatto che si sia pronti, talentuosi, codardi o illusi.
Indipendentemente dal fatto che il talento che ci appiccicano addosso, che ci scovano dentro, sia davvero quello per il quale siamo nati o piuttosto non ne copra un altro che a quel punto, forse, non verrà mai fuori. Non si ha mai una seconda volta per fare la prima impressione. E una volta «scoperti», si sa, non si può più tornare indietro.
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