Intendiamoci: grazie a Dio la Rai (e la Palomar) ci regala ancora sceneggiati preziosi come l'ultima puntata del Commissario Montalbano. In questo momento in cui abbiamo bisogno di distrarci dalle notizie e della paura del Coronavirus, e in cui viviamo quasi in uno Stato di Polizia, affidarci per qualche ora a un poliziotto onesto, scrupoloso e attento al fine più che al rispetto preciso delle regole, non ci fa che bene. Infatti lunedì sera La rete di protezione ha catturato quasi nove milioni e mezzo di spettatori per il 33% di share. Però si può dissentire senza recare offesa rispetto all'elogio universale che accompagna sempre la serie tratta dai libri di Camilleri? Ecco: la puntata dell'altra sera ci ha lasciati un po' perplessi. Certo, nell'atmosfera di Vigata bisogna lasciarsi immergere, accettare le contraddizioni, gli ingarbugli di sceneggiatura, le parti incongruenti, le ingenuità delle indagini, le assurdità delle richieste che arrivano al Commissariato: fanno parte della scrittura di Camilleri. Però, forse, nella trasposizione della Rete di protezione erano fin troppo esagerate. Intanto pare troppo forte lo stacco tra la prima parte in cui si indaga su vecchio omicidio e la seconda in cui si passa repentinamente al giallo di banditi armati in una scuola con Mimì (Cesare Bocci) che nel giro di pochi minuti si trasforma da incallito «tombeur de femmes» a protagonista di una sparatoria nella classe del figlio. In mezzo, per alleggerire, il set di un film svedese a Vigata. Ma le tre parti non sono per nulla ben amalgamate né equilibrate. Certo, tutto da perdonare perché, si sa, durante le riprese è scomparso il pilastro della serie, il regista Alberto Sironi.
E Zingaretti è subentrato cercando di rispettarne il lavoro, ma il passo non può che essere diverso. Detto questo, aspettiamo il terzo episodio il prossimo anno e speriamo che tutta la squadra vada avanti e ci regali anche i capitoli finali.
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