Vilas racconta il dolore che ci insegna a vivere

Lo scrittore spagnolo sulle orme di Cervantes riflette sull'esistenza con piglio picaresco

Manuel Vilas è poeta e scrittore di talento, autore di importanti romanzi, tra cui il recente Ordesa, apparso in Italia con il titolo In tutto c'è stata bellezza: una storia imperniata sul rapporto tra genitori e figli, una narrazione dolente che unisce prosa, ricordo e poesia. Esce ora il libro La gioia, all'improvviso (traduzione di Bruno Arpaia, Guanda, pagg. 416, euro 19), imperniato sulla memoria già presente nella trama anteriore , acuita e alimentata da nuove avventure vissute dal protagonista. Il romanzo potrebbe essere una continuazione, invece costituisce un approfondimento e uno sviluppo del racconto. Se prima l'autore, teso al raggiungimento della bellezza, non nascondeva il sentimento di protesta e distruzione, ora mostra una placida coscienza e una serena accettazione del vivere. Nella prova precedente il protagonista evocava i volti dei genitori scomparsi attraverso incerte fotografie ingiallite dal tempo, in questo libro presenta altri episodi, nati dal divorzio, dalla relazione con la giovane sposa e la presenza-assenza dei figli lontani.

Insomma il tema vive una sorta di lievitazione, dove sofferenza e morte sono elementi strettamente connessi alla vita. Una storia soggettiva e familiare, che trascina con sé un senso malinconico e guarda a un futuro dilatato, dove l'aspirazione alla felicità trionfa su tutto. Un'autobiografia (non importa se frutto di invenzione) che sceglie la confessione, accetta la convivenza del bene e del male come realtà fondamentali dell'esistenza. Il dolore è espressione del nostro essere che aspira alla felicità, dichiara Vilas: «il dolore non è assolutamente un impedimento alla gioia... La sofferenza è una coscienza espansa che raggiunge tutte le cose che sono e saranno»; non dunque desolazione o protesta per i lutti ricevuti, ma consapevolezza.

Il processo di verifica dei fatti e delle azioni compiuto dall'autore ha le forme di un severo e prolungato esame a cui l'io si sottopone per mettere a nudo la sua verità, quella presente o quella dettata dai ricordi; allo stesso tempo è una critica alla società in cui viviamo. L'autore ha un sua ricetta per raggiungere la «gioia» desiderata, poiché sa che il dolore viene dal «corazón», è un dono dello spirito. L'affermazione, già presente come manifesto etico nell'epigrafe del libro, è tratta dai versi del poeta contemporaneo José Hierro che recitano «Sono giunto attraverso il dolore alla gioia / ho saputo dal dolore che l'anima esiste».

Il protagonista ha dentro la musica di Arnold Schönberg che traduce le sue stridenti e convulse inquietudini. Viaggia di continuo per presentare i suoi libri: vede molta gente, parla con tutti, si interroga, dialoga con se stesso, con i genitori scomparsi, con la moglie presente, con i figli lontani o assenti; il tempo è una misura mentale e confonde il passato con il presente. Si impone l'analisi, prevale la riflessione sull'azione che lo scrittore limita al dinamismo del viaggio.

Vilas, che guarda a Cervantes nel molteplice uso del dialogo-monologo e ha letto i libri della picaresca spagnola, conversa con i vivi e con i morti, alimenta l'illusione che essi continuino a essere presenti, e osserva la vita della società, estranea ai suoi interessi poiché priva di valori e carente di vitalità. Da qui l'immagine di un personaggio chiuso in se stesso, ma permeabile a tutto. Un soggetto che si scinde, si sdoppia, vive con grandi musicisti, a partire dall'amato Schönberg, insieme a quelli nascosti dietro i nomi della moglie Mo (Mozart), del figlio minore Valdi (Vivaldi) e il maggiore Brau (Brahms).

Il romanzo è un lungo viaggio dentro e fuori del personaggio che vediamo passare da un hotel all'altro, sostare in varie città della Spagna, negli Stati Uniti, in Portogallo e in Italia, dove alla stazione Termini è fulminato dalla rivelazione che «la razza umana è una sola identità il suo obiettivo è la conservazione della specie». L'autore mostra diversi volti: quello degli incontri pubblici, poco amati, e l'altro, interiore, sintonizzato su partiture musicali che traducono i diversi momenti della sua esistenza. Il monologo ossessivo annulla ogni spazio esterno o lo converte in ascolto e riflessione, dove l'io va in cerca del passato, lo sostituisce e lo inventa, entra nei pensieri delle persone vive o scomparse per colmare un vuoto d'amore che lacera il suo animo.

Una narrazione rapida, sincera, fatta di appunti, brevi capitoli, poche pagine, dove sfilano gli eventi attuali della società spagnola, gli incontri con i lettori o con il figlio (che accompagna nel suo viaggio a Chicago), mentre l'autore ricorda il suo amore per la letteratura con richiami a Hemingway, Proust e ai poeti José Hierro, García Lorca e Antonio Machado, che riposa nel cimitero di Collioure, a cui lo scrittore-viaggiatore fa reverente visita. Sono presenti anche le parole non dette, le azioni immaginate e non vissute: su tutto la necessità di comprendere e amare.

Il libro, più vicino al diario che al racconto, deve alla lucida lettura dei fatti e sentimenti, attraversati da continui flashback, la perfetta fusione tra passato e presente che a tratti anticipa i momenti del futuro.

La scrittura confessione oppure finzione - si chiude con una mail inviata al figlio Valdi, da cui il padre non attende risposta, come ugualmente farebbe Dio, entrambi lontani e presenti solo nella sua mente. Un romanzo, in definitiva, nato dal buio ma diretto alla luce, un monologo complesso che dalle stanze del dolore cerca la gioia, celebra la vita.

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