Vladimir Luxuria: "Ricordo ancora le urla dei miei genitori"

Ospite del Grande Fratello, l’ex deputata ha raccontato i momenti più difficili della sua vita, soprattutto il rapporto problematico con il padre e la madre

Vladimir Luxuria: "Ricordo ancora le urla dei miei genitori"

Barbara D’Urso continua a difendere con le unghie e con i denti i diritti LGBT e nel corso dell’ultima puntata del Grande Fratello ha scelto Vladimir Luxuria per dire ancora una volta basta alle discriminazioni. Entrata nella Casa del reality, l’ex deputata ha incontrato i concorrenti ed è stata protagonista di un racconto intimo e commovente del suo passato.

L’attivista ha voluto condividere i primi passi del suo percorso di transizione. “I miei genitori – racconta – all’inizio non l’hanno presa bene e in qualche modo io li capisco”. Luxuria aveva soltanto le sorelle e le amiche più care dalla sua parte. “Mia sorella Laura – rivela – mi ha prestato un vestito: ricordo la prima volta che l’ho messo, quando l’ho indossato ho detto: ‘Finalmente sono io’”.

Quando ha compiuto 14 anni, Vladimir ha deciso di provare a farlo anche fuori. “Ho preso il vestito di mia sorella in un busta di plastica – ricorda – sono entrata in una cabina telefonica, mi sono truccata e sono uscita per la strada. Cercavo di capire gli sguardi della gente: se mi capivano o mi disprezzavano. Allora cominciai a sentire degli insulti: alcuni se la prendevano come fosse una sfida alla loro identità. Poi sono arrivate anche le botte: avevo pure una sorta di mappa della città, sapevo dove poter passare e dove no. Ma non voglio fare la vittima, ho superato tutto”.

Vladimir Luxuria: “Mi sentivo responsabile dell’infelicità dei miei”

I problemi di Vladimir Luxuria sono stati soprattutto con i genitori. Quei tratti maschili che la ingabbiavano in un corpo non suo erano sempre più insopportabili e fonte di continui conflitti famigliari. “Secondo me – ammette – le mamme lo sanno sempre, anche se fanno finta di non saperlo. Chi ti porta in grembo arriva a capire”.

Un giorno – rivela – ero su una panchina, passò mio padre con un suo amico: l’uomo guardandomi disse: ‘Guarda quel ricch…”, mio padre allora girò lo sguardo e… quel ricch… ero io. Mi sono freddata. Poi sapevo che dovevo tornare a casa e affrontare la cosa. Non riuscivo a camminare. Salgo a casa, apro la porta, e sento le urla di mio padre e mia madre che stavano litigando, incolpandosi l’uno con l’altra. Mi sentivo responsabile dell’infelicità di coloro che mi avevano messo al mondo, che mi avevano dato da mangiare e fatto crescere. Allora per un periodo ho anche evitato di comportarmi in un certo modo perché non volevo farli soffrire. A tavola non parlavamo. Sentivi solo il rumore delle forchette e dei coltelli. Non vedevo l’ora che il piatto finisse per chiudermi nella mia cameretta.

Per poi sentirmi sola al mondo, senza futuro, pensando di farla finita”. A salvarla da quelle sensazioni furono in pochi. “Per fortuna – conclude – avevo un barboncino, Dolly, il cui sguardo mi dava forza nei momenti più neri”.

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