Non era certo un ragazzo Andrzej Wajda, il massimo regista polacco contemporaneo, maestro di intere generazioni da Polanski a Kieslowski, morto l'altra notte a Varsavia. Ma chi lo conosceva bene non se lo aspettava: i suoi 90 anni li portava con leggerezza, quasi senza età. Tanto che aveva da poco terminato il suo ultimo film, Afterimage, selezionato proprio all'undicesima edizione della Festa del cinema di Roma in programma da dopodomani nella Capitale. Nato nel 1926 nella Polonia nord-orientale a pochi chilometri dalla Lituania, Wajda avrebbe accompagnato il suo film sul pittore d'avanguardia Wadysaw Strzemiski, vittima delle persecuzioni del regime comunista, se il ricovero in ospedale per un'insufficienza polmonare non avesse avuto il tragico epilogo. Ancora una volta Wajda racconta una storia che ha molto a che fare con il suo Paese: «Afterimage è il ritratto di un uomo integro - ha avuto modo di dire il regista - assolutamente sicuro della strada che ha scelto di intraprendere. Il film descrive quattro anni difficili, dal 1949 al 1952, durante i quali la sovietizzazione della Polonia ha assunto le forme più radicali e il realismo socialista è divenuto il modello obbligato di espressione artistica». Lucido come sempre nella sua analisi, Wajda ha fin dagli esordi cercato di smitizzare il cieco patriottismo e sottolineato il linguaggio retorico del tempo della guerra - lui che aveva combattuto nella resistenza contro l'occupazione tedesca - come in Generazione, il suo primo lungometraggio del 1955, e come nei successivi I dannati di Varsavia (1956) e Cenere e diamanti (1958) che venne presentato fuori concorso a Venezia.
Figlio di un ufficiale, studente di pittura all'Accademia di Belle Arti di Cracovia, prima che di cinema alla Scuola Nazionale di Lodz, Wajda, che ha lavorato molto anche in teatro, ha ottenuto quattro nomination all'Oscar per il miglior film straniero con La terra della grande promessa (1974), Le signorine di Wilko (1979), L'uomo di ferro (1981) e Katyn (2007), pellicola in cui aveva raccontato la storia di migliaia di ufficiali polacchi fucilati dai servizi segreti sovietici nel 1940. Una vicenda che lo aveva toccato personalmente perché tra le vittime ci fu anche suo padre. Mentre una parte del suo interesse politico (è stato anche senatore) e cinematografico è coincisa con la storia del sindacato Solidarnosc raccontato nel 1981 in L'Uomo di ferro (Palma d'oro a Cannes), in cui compare anche Lech Walesa, il leader dell'organizzazione. Una passione così viva verso il movimento che contribuì a rovesciare la dittatura comunista che è giunta fino all'altro ieri con il suo penultimo film, Walesa - L'uomo della speranza presentato al festival di Venezia nel 2013, in cui viene ricostruita la famosa intervista a Walesa di Oriana Fallaci interpretata da una bravissima Maria Rosaria Omaggio.
In anni più recenti Wajda ha iniziato a ottenere i riconoscimenti alla
carriera, nel 1998 il Leone d'oro, nel 2000 l'Oscar onorario, nel 2006 l'Orso d'oro mentre la Polonia, nel 2011, lo ha insignito dell'Ordine dell'Aquila Bianca, la massima onorificenza del suo Paese. Meglio tardi che mai.
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