Quando, nel 2009, Oreste Lionello si spense, il lutto arrivò oltreoceano. «Una cosa è certa - disse Woody Allen -: grossa parte della mia popolarità in Italia è legata a lui. Mi ha reso un attore migliore e una persona più divertente. Che fortuna essere doppiato da un uomo così». Non mancarono i dubbi, né per Allen né per il suo pubblico nel nostro Paese, su chi potesse accogliere uno scettro tanto esclusivo: l’eredità quasi mistica di un feeling tra lui, regista e attore di marca inconfondibile, e l’interprete che aveva raccontato in italiano tutto il suo cinema. Blindata nel riserbo più stretto, la decisione del conclave. In lizza, si diceva, c’era una decina di doppiatori. E i giochi sembravano ancora aperti. Sbagliato. La nuova voce di Woody Allen ha tanto di nome e cognome, un curriculum noto ai più, e soprattutto una militanza ventennale nella stessa compagnia di varietà di Lionello. Così Leo Gullotta (66 anni) ci racconta di aver accettato una sfida che sembrava impossibile.
Il nuovo doppiatore di Woody Allen. Com’è avvenuto questo passaggio di testimone?
«Allen aveva deciso di non fare più l’attore ma, in Bop Decameron (suo film girato in Italia la scorsa estate) è tornato a recitare: dunque si è posto il problema di doppiarlo. Sono stato seguito dalla grande direttrice Maura Vespini, ma in cabina di regia c’era un rappresentante americano del film: gli americani non si perdono un solo respiro, in questi casi».
Si sta confrontando quindi con due miti: Woody Allen, e la sua voce italiana storica. Com'è stato subentrare a Oreste Lionello?
«Col grande e meraviglioso Oreste Lionello ho trascorso 24 anni della mia vita. C’è stato profondo rispetto nei suoi confronti. Un costante ricordo. Mi sono accostato a questo lavoro con dedizione e professionalità: ho seguito per filo e per segno sullo schermo ciò che Allen ha cercato di dare. Ma è stato anche un modo per stare con Oreste in maniera “leggera”: giocando e ripensando alla sua altissima qualità professionale».
Lei si presta al doppiaggio dopo anni a teatro e sullo schermo. La si ricorda spesso per parodie e caratteri molto popolari, ma ha sempre affrontato anche ruoli drammatici...
«La interrompo proprio per dirle che c’è una miopia tutta italiana nel ricordare un attore sempre nello stesso ruolo. La mia professione ha compiuto cinquant’anni: mi hanno festeggiato - bontà loro - il Presidente della Repubblica, il sindacato dei critici cinematografici. La frequentazione di molti linguaggi mi ha permesso di entrare nelle case degli italiani, ma un attore è un interprete: altro è il personaggio».
C’è qualcosa in cui, da interprete, pensa di somigliare a Woody Allen?
«Direi proprio di no. Lui è un magnifico americano che ama l’Europa. Io sono un italiano, e anche molto diverso...».
È anche un suo fan?
«Come non esserlo? È un meraviglioso creativo e rappresenta un preciso passaggio registico. Amo il suo stile, il modo in cui ha allenato a usare la testa».
Nel frattempo, però, lei è in tournée con Shakespeare.
«Collaboro da sette anni col Teatro Eliseo di Roma. Sono al terzo spettacolo: Le allegre comari di Windsor. Centocinquanta repliche, ottantamila persone che ci hanno visto: il pubblico vuole riscoprire la qualità. Il piacere di riflettere e di essere coinvolto. E vuol essere trattato con onestà: in questo, ho dato sempre il massimo».
Ci regala un ricordo di Oreste
Lionello? Che persona era?«Era il professionista che tutti conoscono, ma anche un’anima alta e un uomo di grande cultura. Un semplice e silenzioso “clown”: con tutta la poesia che questa figura suggerisce e mostra».
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