Addio Mauro, pensiero libero di un calcio che non c'è più

Toscano, sincero, nerazzurro nell'animo, non s'accodò alla corte di Mazzola e andò via. Fu re a Bologna, stregò Napoli

Addio Mauro, pensiero libero di un calcio che non c'è più

Le carte per la scopa su un tavolo senza ombre. Inutile sperare, inutile aspettare. Mauro Bellugi ha chiuso la sua storia con la vita, in un tempo maledetto che continua a portarsi via fette di memoria, compagni di viaggio, figurine di un album bellissimo. Mauro ha preferito allontanarsi dal derby domenicale della sua Inter e dalla serata del suo Bologna. Ha giocato di anticipo, ha sorpreso chi si era aggrappato a quel desiderio che si fosse trattato di un sogno buio, di un incubo cattivo. Invece, è tutto vero, drammaticamente vero. Presumo che Mauro abbia salutato il mondo con una smorfia allegra, perché la sua esistenza, almeno nei miei ricordi, questa è sempre stata, fresca, immediata ma non semplice e superficiale. Ha vissuto da campione con due maglie grandiose, quelle dell'Inter e del Bologna di cui fu capitano e che lo portò al mondiale argentino nella squadra di Bearzot. Era il quarantesimo secondo dal fischio di inizio di quel due di giugno del settantotto a Mar del Plata e il piccolo francese Didier Six fuggì come un ladro sul corridoio di sinistra della nostra difesa, andò a crossare un pallone non certamente irresistibile sul quale si avventò un altro galletto, Bernard Lacombe. Mauro Bellugi restò a guardare il cielo mentre il francese di fianco trovò lo stacco, la torsione e la deviazione in gol. Nemmeno il tempo di capire ed eravamo nei guai ma il mondiale di Mauro non cambiò certo per questo, l'Italia andò a vincere la partita, restarono i fotogrammi di quell'azione, non altro. Così come il gol, l'unico dei suoi mille e mille incontri, realizzato in coppa dei campioni ai tedeschi del Borussia di Moenchengladbach, un tiro violento di destro, avvitandosi nell'esecuzione per calciare il pallone a sbattere sotto la traversa di Kleff, portiere tedesco stupito e tramortito da quella traiettoria improvvisa del ragazzone difensore.

Basta poco per fare cronaca e poi entrare nella storia. Mauro non ha creduto molto a tutte queste parole di retorica, ha sempre preferito la vita ai compromessi e alle frasi di repertorio. Era così libero di mente che scelse di non accodarsi alla corte di Mazzola e per questo venne messo in lista di cessione da Angelo Moratti che si era affezionato a quel toscano di bell'aspetto e, a ribadire una generosità elegante, gli aveva fatto dono di una dimora a Stintino. E Mauro, aveva vent'anni allora, stava in quel paradiso, correndo sulla bianchissima sabbia della spiaggia de La Pelosa. Era l'inizio di una corsa maestosa con la grande Inter nella quale ogni tanto appariva ma dalla quale imparava a vivere il football europeo e mondiale. Quando Helenio Herrera dovette fermarsi per i primi disturbi al cuore, toccò a Enea Masiero andare in panchina. Mauro Bellugi che era stato titolare per tutta la prima parte del campionato venne messo da parte, per fare posto al rude Giubertoni. A difendere la sua dignità ci pensò la moglie: «Se non è apprezzato lo compro io e lo faccio giocare nel nostro giardino». Ovviamente il giardino venne riservato a fiori e piante, Mauro aveva comunque capito l'aria di Appiano Gentile e fu così che se ne andò al Bologna dove venne nominato capitano glorioso, sempre al centro delle fotografie ufficiali della squadra «che tremare il mondo fa». Venne poi, anche il Napoli, teatro ideale per la spensieratezza di un toscano mai arrogante e saccente ma di assoluta franchezza e normalità. Perché la traccia che Mauro Bellugi ha lasciato è di un campione che mai ha esibito la sua carriera, mai ha lucidato le medaglie, mai si è abbassato a polemiche faziose ma non per questo rinunciando a posizioni critiche sulla sua Inter o sul Bologna e sul Napoli.

Vedendo oggi sfilare figure tatuate tra orecchini e zazzere assurde, ritengo che Mauro benissimo abbia fatto a vivere un altro tempo, un altro calcio, distinguendosi in quello per l'eleganza naturale, per il senso della vita mai cambiato anche quando la stessa ha incominciato a molestarlo, ferendolo nel corpo, troncandogli le gambe che per un atleta sono come il pennello per un pittore.

Anche in quest'ultima fase atroce dell'esistenza mai aveva smarrito il piacere di divertirsi con le parole, sfottendo il male, disegnando il futuro. Non avrà bisogno di riposare in pace. Mauro Bellugi in pace ha vissuto.

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