Si può trasformare in sei mesi una Nazionale uscita a pezzi dal Mondiale di rugby e farla diventare la rivelazione del Sei Nazioni? L'euforia che accompagna la splendida doppietta azzurra contro Scozia e Galles, senza dimenticare il pari beffardo in casa dei francesi, rischia di nascondere il capolavoro di Gonzalo Quesada, il ct che ha pilotato la riscossa dell'Italia ovale portandola al miglior torneo della sua storia. Ma certo il lavoro del tecnico argentino non è sfuggito a chi ha vissuto la trasformazione dall'interno. «Anche due anni fa avevamo vinto a Cardiff la spiegazione di Federico Ruzza, uno dei veterani del gruppo, 29enne seconda linea padovano, uno dei giganti che hanno spinto la mischia azzurra -, ma poi non abbiamo saputo dar seguito a quel successo. Però il gruppo è cresciuto e con Quesada è arrivata la maturità. Il nuovo ct ci ha dato la solidità che serve nei momenti più importanti. Non ci siamo mai fatti prendere dalla foga con la palla in mano e abbiamo raggiunto l'equilibrio tra le due fasi di gioco». Ovvero, questa Italia è cambiata nella testa, oltre che nel cuore. Ma soprattutto sa restare con i piedi per terra: «Sì, sabato sera ci siamo lasciati andare anche noi, ma da oggi si torna a lavorare. Bisogna analizzare le vittorie come le sconfitte, capire in che cosa dobbiamo migliorare. Perché nel primo tempo potevamo fare più punti e nel secondo abbiamo rischiato troppo».
L'autocritica di Ruzza è figlia di un ambiente che non vuole farsi distrarre. «Certo, fa piacere vedere che intorno a noi c'è un mondo che ci guarda con occhi diversi. Ma conoscendo questo gruppo so che tutti torneranno a lavorare come se non fosse successo nulla...». Parole sagge di chi è entrato in Nazionale nel momento più buio, quello delle 36 sconfitte consecutive nel torneo, e adesso non vuole farsi abbagliare, perché lo scivolone è sempre dietro l'angolo. Anche se questa Italia ha saputo gestire persino gli insoliti favori del pronostico: «La pressione prima di Cardiff? Certo che l'abbiamo sentita. Ma finalmente, direi. In Galles sapevamo di giocarci molto a livello di soddisfazioni di gruppo, ma soprattutto di movimento. Sono quelle partite che tutti vorrebbero giocare». Due successi conquistati da un gruppo giovane, segno di un lavoro importante delle nostre accademie federali: «Quando sono arrivato io in Nazionale i riferimenti erano i grandi di allora, i Parisse, gli Zanni, i Ghiraldini, adesso abbiamo ragazzi giovani che hanno già 30-40 presenze, come i Garbisi, i Lucchesi.
Evidentemente sta lavorando bene chi deve formarli, perché puoi avere dei grandi talenti, ma devi anche saperli coltivare». Una delle cose più belle di Cardiff, che tutti hanno apprezzato, è stata anche la sobrietà nei festeggiamenti, nessuna maglia strappata, nessun delirio: «E di questo sono molto contento, perché in uno stadio come quello è importante il rispetto degli avversari».
Ma si può migliorare questo Sei Nazioni? «Non facciamo promesse sui risultati, non è giusto. Promettiamo di continuare a lavorare così. A partire dalla tournèe estiva. Gli All Blacks a novembre? Lasciamo stare... adesso ci servono solo umiltà e continuità».
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