Dieci anni fa oggi, il 19 maggio 2010, Andrea Agnelli diventava presidente della Juventus: Luigi Delneri, reduce dal quarto posto in campionato e dalla qualificazione in Champions con la Sampdoria, fu il suo primo allenatore.
Delneri, il suo matrimonio con la Signora durò una sola stagione: un settimo posto e addio.
«Ci comportammo bene fino a Natale, poi infortuni e assenze ci penalizzarono. Con un pizzico di fortuna e di salute in più, avremmo potuto lottare per il quarto-sesto posto».
Lei fu portato a Torino da Marotta, anche lui ex Samp: ebbe mai la sensazione di non essere stato scelto da Agnelli?
«Senza polemica, è la verità: fui effettivamente scelto da Marotta e Paratici. Avevamo lavorato benissimo a Genova e la Juve dell'epoca poteva permettersi il sottoscritto, comunque appena qualificatosi per la Champions. Per il palato dei tifosi e per le loro abitudini, ci sarebbe stato forse bisogno di un Ronaldo anche in panchina. Va anche detto che a Torino non hanno voluto bene nemmeno ad Ancelotti, quindi sono in buona compagnia. Non ero in ogni caso l'ultimo degli ultimi: in carriera ho fatto bene quasi dappertutto».
Come andò quindi a Torino?
«Arrivammo quarti alla pausa natalizia, a cinque punti dal Milan che avrebbe vinto il campionato e che noi avevamo già battuto a San Siro. Poi, il grave infortunio di Quagliarella complicò tutto: perdemmo punti soprattutto contro le piccole e non ci qualificammo nemmeno per l'Europa League».
Cosa le aveva chiesto la società?
«Di gettare le basi per il futuro visto che, considerata l'età dei vari Trezeguet, Camoranesi e Del Piero, eravamo in pieno ricambio generazionale. La squadra stava cambiando pelle: tanto per dire, Bonucci era arrivato in estate, Barzagli in autunno».
Dopo di lei, Conte.
«Grande scelta. La storia ha dato ragione ad Agnelli: la Juve è tornata subito a essere la regina del campionato e non si è più fermata. Le manca ancora la solita chicca della Champions, ma la raggiungerà presto: non le manca nulla».
Un giudizio su Andrea Agnelli?
«Appassionato, competente. Capace di imparare, anche: ha dato continuità, costruendo una corazzata passo dopo passo. Quando c'ero io, non si potevano mica prendere certi calibri».
Ai suoi tempi la maglia numero 7 la indossava Salihamidzic: adesso la stessa è sulle spalle di Ronaldo.
«Un segno dei tempi, appunto».
Rimpianti per non avere potuto proseguire il lavoro?
«Nessuno. È andata così e basta. Sarei rimasto volentieri, ma essere stato alla Juve resta un vanto: quando alleni, quella panchina la sogni a occhi aperti».
Cosa mancava alla sua Juve per essere alla pari con le altre big?
«Qualità in mezzo al campo: Pirlo e Vidal io non li ho mai avuti. E una rosa più profonda».
In compenso, c'era Felipe Melo: cosa pensa della sua polemica con Chiellini?
«Scaramucce da vivere come tali. Melo era un solista dal carattere particolare, rude e istintivo: Chiellini lo juventino per antonomasia. Una certa incompatibilità di carattere era più che normale».
Lei mise in discussione Buffon.
«Non scherziamo. La verità è che Gigi era reduce da un infortunio serio e Storari stava giocando benissimo: non ho mai regalato niente a nessuno, tutto qui. E mi fa molto piacere che Buffon sia ancora al top: se uno non ne conoscesse l'età e non sapesse di chi si tratta, prenderebbe nota di come ha parato quest'anno e investirebbe su di lui. Resta un esempio per i ragazzi di oggi: è la passione che muove tutto, non i soldi».
Delneri ha appeso la tuta al chiodo?
«No. Seguo tutto e spero di poter fare ancora qualcosa di buono: equilibrio e fiducia non mancano».
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