Nel nome del padre: dal figlio prediletto. Dal corridore forse più amato di Francia, anche se lui per fare il ciclista ha dovuto migrare in Belgio, in cerca di fortune. Nel nome di un padre morto dopo una brutta malattia a fine giugno, che fino alla fine l'ha seguito sulle strade del mondo. In suo onore, Julian Alaphilippe, questo fantastico ragazzo di 28 anni, ha cercato disperatamente ieri la vittoria, trovandola sulle strade di Nizza: tappa e maglia. Doveva essere Alaphilippe e alla fine così è stato. Dopo due giorni di battaglia e cadute, attorno ad una Nizza tinta di giallo, ma dichiarata per questioni di Covid zona rossa, questo ragazzo salda un debito, una promessa fatta a se stesso «per la persona più importante della mia vita». È qui, su queste strade, che D'Artagnan rompe il digiuno fra sfortune e beffarde sconfitte, compresa una Sanremo persa per pochi centimetri l'8 agosto scorso. Tappa e maglia per questo ragazzo spettacolare come pochi e trascinatore come nessuno.
Torna in giallo questo ragazzone dal volto simpatico e cinematografico, che fa impazzire le ragazzine e le mamme, ma anche chi nel gruppo si trova a doverlo rincorrere. LouLou così viene chiamato simpaticamente in squadra versa lacrime dolci dopo il traguardo, dopo aver alzato un dito verso il cielo, in omaggio del padre scomparso. Un successo che arriva dopo tredici mesi d'astinenza (crono di Pau, al Tour, ndr): allora vincere la crono gli consentì di tenersi stretta una maglia gialla portata a spasso oltre ogni previsione, tra la meraviglia di tutti, che in quei giorni lo scoprirono e sospinsero come si fa con uno di casa, uno di famiglia. «È una vittoria per papà, mio grande tifoso, mio grande punto di riferimento. È per lui che mi manca. È per lui che ho nel cuore», dice singhiozzando davanti alle telecamere di mezzo mondo. La vittoria arriva con un canovaccio prevedibile e previsto: attacco secco a 13 chilometri dal traguardo, sull'ultima scalata di una giornata e via verso il traguardo con lo svizzero Hirschi e il britannico Adam Yates bravi a prendere la sua scia. Poi la volata, non facile, tutt'altro scontata, con la muta del gruppo che si fa sotto e mette pressione ai tre là davanti. Ed è Lulu a rompere gli indugi, poco dopo i duecento metri: uno scatto e via. Braccia alzate, dito al cielo. Lacrime.
Per il resto tappa corsa a ritmi folli (oltre 51 di media la prima ora), ma a lasciare il segno sono ancora le cadute: troppe, alcune davvero ridicole.
Ad uscirne peggio è il talento colombiano Martinez, compagno di Uran, che ruzzola da solo in discesa a una trentina di chilometri dall'arrivo e non rientra più. Non bene il nostro Fabio Aru, che lascia per strada un paio di minuti sull'ultimo colle. Non proprio l'ideale per chi si era posto l'obiettivo di restare il più possibile nel vivo della corsa.
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