Non è un grido d'allarme, è una vera sirena che segnala un pericolo vitale. È quello lanciato da Gabriele Gravina, presidente della federcalcio, nel rendere noti i numeri più preoccupanti del Report sul calcio italiano realizzato dal centro studi della sua federazione. Una cifra su tutte le altre fa impressione: il movimento, negli ultimi 12 anni, continua a perdere 1 milione al giorno. Certo gli effetti della pandemia e la chiusura degli stadi hanno accentuato la crisi ma non sono l'unica spiegazione. Perché il secondo dato, ancora più didascalico segnalato da Gravina, è il rapporto tra i ricavi e il costo del lavoro, gli stipendi dei calciatori e dei relativi cartellini quindi: è stato raggiunto il picco del 66 per cento! Di qui, sempre sulla distanza dei 12 anni, la montagna di debiti che grava sulla testa del settore: siamo passati da 2,4 a 4,7 miliardi che vuol dire essere vicini al punto di non ritorno. Certo: le plus valenze e la chiusura dei botteghini hanno contribuito a raggiungere il pericoloso raddoppio. Sul tema, Gravina ha tuonato: «Attenzione: non sono i debiti a preoccupare, sono le casse vuote a portare verso il fallimento!». Spiegazione indispensabile per distinguere da caso a caso e per leggere meglio i bilanci dei club di serie A, specie alla chiusura del 30 giugno scorso. D'altro canto che l'etichetta del campionato di maggior rilievo sia diventata quella di torneo di passaggio è testimoniata da un dato riferito alla recente finestra di calcio-mercato: gli elementi più interessanti (De Ligt, Skriniar, Koulibaly) hanno trovato all'estero il loro prossimo trasferimento. C'è un'altra denuncia nello studio di Gravina: lo scarso utilizzo di giovani talenti in serie A così da costringere l'under 21 a far ricorso alla serie B per allestire il suo gruppo.
Per provare a uscire da questa curva a gomito, il presidente Gravina ha fissato per il 28 luglio una riunione del consiglio federale tesa a studiare una nuova formula della durata di tre anni per le iscrizioni ai campionati. Basterà? L'interrogativo è lecito perché quello ciò che deve cambiare è la mentalità dei dirigenti dei club e di conseguenza anche quella dei tifosi e dei media.
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