«Le do una notizia».
Dica.
«Ho scoperto di essere stato un tennista dopato».
Angelo Binaghi, presidente della Federazione, adesso può scherzare, ma non troppo: «Ho saputo della notizia 48 ore prima che uscisse. E meno male: se me l'avessero detto prima avrei vissuto quattro mesi con ansia e sofferenza, senza godermi il numero uno e i grandi traguardi che ha raggiunto Jannik».
Il giorno dopo l'esplosione del caso Sinner, insomma, il sospiro è di sollievo: la sentenza dell'International Integrity Unit Association è chiara, anche se la Wada riterrà di ricorrere in appello, dovrebbe trovare prove diverse che al momento sembrano difficili da scovare.
C'è solo da cancellare i soliti sospetti, «ma la decisione è coerente con la storia di Sinner: era più facile scommettere che facesse una rapina in banca piuttosto che si dopasse».
E quindi: davvero lei si dopava?
«Mah, ho scoperto che è così. Quando giocavo usavo la stessa pomata, il Trofodermin, che mi fu consigliata dal massaggiatore di una squadra di serie A. E la uso ancora. Sapevo che aveva antibiotici, non sapevo che avesse la molecola proibita. Sto pensando di far causa alla casa farmaceutica».
In che senso?
«In tutti questi anni non ho avuto alcun beneficio atletico, ma solo danni...».
Ironia a parte: come si fa a giocare con questa spada di Damocle sulla testa.
«Incredibile. Adesso vanno rivalutati tutti i risultati che Jannik ha ottenuto in quattro mesi con questo fardello. È un uomo di ghiaccio, con una forza d'animo pazzesca. Una persona normale sarebbe andata fuori di testa».
C'è chi ha ancora dubbi, anche tra i tennisti.
«Solo dei frustrati e invidiosi che non hanno saputo raggiungere gli obbiettivi che ha raggiunto lui. Vicino a Jannik nessuno invece ha mai dubitato, e questo racconta dello spessore del ragazzo».
Qualcuno pensa anche che il forfait olimpico abbia ora una spiegazione.
«Se fosse stato così Jannik si sarebbe inventato una scusa due giorni prima, dando a Cobolli la possibilità di andare a Parigi. Al contrario il fatto che abbia rinunciato all'ultimo racconta delle genuinità della tonsillite».
Com'è possibile per uno sportivo moderno stare alla larga dai rischi?
«È complicato. Questo è avvalorato dalla leggerezza di questo episodio. Nel quale ci sono due aggravanti».
Quali?
«La prima è che stiamo parlando del numero uno del mondo e del numero uno dello sport italiano: si deve andare nella iper specializzazione, con una persona che 24 ore su 24 ore sa cosa e chi viene in contatto con l'atleta».
La seconda?
«Mi dispiace tanto, perché gli voglio un bene dell'anima ed è una persona di grande livello, ma non depone a suo vantaggio la laurea in chimica del preparatore fisico. Io almeno avevo l'attenuante di essere ingegnere».
Sta parlando di Umberto Ferrara?
«Nella vita può capitare, e questo non toglie certo i meriti del passato e quelli nel successo e della crescita di Sinner, suoi e del fisioterapista. Però».
Resterà una macchia?
«La sentenza parla da sola. Ho scritto a Jannik che ora è più forte di prima: quando ti capita una cosa del genere che non ti aspetti, esci dal temporale più maturo e più adulto. È così sarà».
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