Matteo Arnaldi è di Sanremo: faccia tosta (nel senso di determinata), sorriso sempre pronto, gira il mondo con il suo maestro di sempre Filippo Sciolli. «Non ci litigo mai, mi conosce troppo bene...». È numero 27 del circuito giovanile, 3 in Italia: quest'anno ha vinto un torneo a Casblanca, è arrivato in semifinale al Bonfiglio e ora affronta la prova di Wimbledon junior.
Soddisfatto, per ora?
«Diciamo di sì. Nel 2019 sono già riuscito a giocare sia in Australia che al Roland Garros».
Risultati?
«Fuori al primo turno a Melbourne e al secondo a Parigi. Ma ho imparato tanto».
Ti stai affacciando al circuito dei pro: sensazioni?
«Non c'è così tanto gap. Certo: i più forti sanno come giocare i punti più importanti. E lì fanno la differenza».
A proposito di grandi: Djokovic, Nadal o Federer?
«Djokovic. Gioco come lui: da fondo e sono molto elastico. Oddio: diciamo che mi ispiro...»
E dei Next Gen?
«De Minaur».
Dove devi migliorare?
«Il servizio. Soprattutto adesso che giocherò sull'erba».
Che valore ha una sconfitta?
«Aiuta a crescere. Quando vinci pensi di aver fatto tutto bene e non capisci i tuoi errori. E il tennis è uno sport dove a fine settimana perdono tutti tranne uno».
Il tuo futuro?
«Non mi spaventa: so che per vivere di tennis bisogna arrivare molto in alto, ma è uno stimolo. E restarci, naturalmente: la federazione aiuta, ma poi toccherà ad altri giovani».
Il tennis non è solo Wimbledon, insomma.
«Come no: capita di giocare in posti assurdi. In Tunisia per esempio: tre ore dall'aeroporto, ko subito, a casa in due giorni. Quella è la normalità». MLomb
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