Atene, Pechino, Londra e Rio: 4 cerimonie di apertura dei Giochi a confronto

Ad Atene c'ero. A Pechino anche, a Londra pure. Sono sempre uscito dal catino olimpico con negli occhi colori emozionanti, nelle orecchie suoni avvolgenti, nel cuore ricordi scolpiti per sempre. Stavolta no

Atene, Pechino, Londra e Rio: 4 cerimonie di apertura dei Giochi a confronto

nostro inviato a Rio de Janeiro

Ad Atene c'ero. A Pechino anche, a Londra pure. Sono sempre uscito dal catino olimpico con negli occhi colori emozionanti, nelle orecchie suoni avvolgenti, nel cuore ricordi scolpiti per sempre. Persino la monumentale cerimonia di Pechino 2008 era riuscita a lasciarmi addosso la sensazione grande di aver assistito a qualcosa di unico e magico che avrei rimpianto per sempre. Stavolta no. Stavolta, mi resteranno sulla t-shirt, come polvere fastidiosa da scrollare via, la musichetta odiosa che ha accompagnato la sfilata delle nazionali e i fischi, i troppi fischi di questo pubblico poco sportivo che se l'è presa con la Germania per il 7-1, con l'Argentina per la rivalità eterna, con il Cile per le solite cose, ma anche con il Canada e vorrei sapere il perché. Brutta cosa i fischi alle olimpiadi.

Però è stata una cerimonia perfetta nel rappresentare non il Brasile, ma il Brasile di oggi. La povertà. E infatti la cerimonia è povera. La confusione. E la cerimonia è confusa. L'insicurezza. E la cerimonia dà l'idea che possa incepparsi ad ogni istante. La bellezza. E Gisele che sfila in mezzo al niente del tappeto elettronico del Maracanà è bella, tremendamente bella. Cerimonia perfetta e frettolosa che ripercorre di corsa la propria storia e dalle onde del mare che dà la vita si ritrova al rap di strada nello spazio di una manciata di minuti proprio come questo Paese che in una manciata di anni si è ritrovato ad emergere, decollare, affondare e ora a navigare a vista.

Esattamente come questa olimpiade. Il casino brasilero, che non si nega neppure un pistolotto ambientalista, segna un netto passo indietro rispetto all'eleganza di Atene 2004 quando, grazie al mito, alla storia, alla culla della civiltà occidentale e dell'olimpiade mi ero emozionato al ritmo di un coinvolgente sirtaki che ti prendeva per mano i pensieri. E poi, poi quel grande mare in mezzo allo stadio e la barchetta di carta e i quattrocento percussionisti che ritmavano la vita e il dardo infuocato che un attimo dopo avrebbe acceso i cinque cerchi olimpici a filo acqua per raccontare l'avventura dell'uomo dalla preistoria a oggi.

Il casino brasilero inquieta più delle misure di sicurezza e del grande fratello di Pechino, quando si sapeva che tutto e tutti noi eravamo controllati a vista e però non potevamo che restare a bocca aperta guardando l'ultimo tedoforo, Li Ning, ricevere la fiaccola e all'improvviso volare percorrendo, a 40 metri da terra, l'intero ovale dello stadio a Nido d'uccello.

Il casino brasilero, mi dispiace dirlo, ha reso ancora più bella e inavvicinabile la cerimonia al top delle mie olimpiadi, quella di Londra 2012. Cerimonia vintage, cerimonia con un fortissimo richiamo ai valori del passato e al bisogno di riscoprirli.

E poi, vogliamo mettere Heroes di David Bowie che ha accompagnato la sfilata della nazionale inglese con la musichetta da discoteca che ha accompagnato la nostra Fede Pellegrini. Lei forte, elegante e bella come il sole. Non si meritava questo sgarbo. Ma se non altro l'Italia è stata applaudita.

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