Quando le nostre mamme ci raccomandavano di non accettare caramelle dagli sconosciuti, non sapevano che un giorno le avrebbero viste tramutarsi in veleno da social media. Prendi un like e ti sembra di sognare, basta un commento avariato e perdi tutto. Le partite e soprattutto l'autostima.
Nel 2021 le caramelle sono quasi fuori moda, si sono trasformate in qualcosa di virtuale che certe volte fa ancora più male allo stomaco. Come ricevere un pugno. Metti ieri, a Tokyo: scende in campo nei quarti di finale l'unica nazionale per cui il presidente del Coni Malagò si era speso per una medaglia attesa se non sicura. La pallavolo femminile, quella di Paola Egonu. Finisce 3-0, ma per le altre, la Serbia. Cosa è successo? Lo spiega il Ct Davide Mazzanti, uno che la partita forse l'aveva già vista in spogliatoio: «Avevo chiesto alle ragazze di staccarsi dai social durante le Olimpiadi, di stare fuori da quello che le circondava, da tutto quello che ti arriva addosso. Ma per loro ormai è diventato difficile. Ci servirà di lezione».
Ecco, Paola: lei diventa il simbolo di quello che è lo sport al tempo di internet. Chiariamolo subito: non è certo tutta (e solo) colpa sua, anche se - quando la sua squadra invece vince - si tende a esaltare «la giocatrice più forte del mondo» e così è facile trasformarla nella regina dei flop di squadra. L'Olimpiade è l'Olimpiade, e questi Giochi, i suoi giochi, sono stati un po' troppo mediatici: prima l'autocandidatura a portabandiera a mezzo stampa, poi la promozione a portabandiera, ma del Cio, come simbolo di integrazione. Durante, appunto, instagram a volontà, più nelle vittorie che nelle sconfitte. Serviva una leader, ci siamo ritrovati con un'influencer. Che nel volley, pare, non fa vincere.
La Egonu ha solo 22 anni e imparerà, come dice Mazzanti. Ma lo sport e gli atleti tendono sempre di più a veder sfuggire di mano uno strumento che può fare incredibili danni. Abbiamo assistito recentemente ai casi di Naomi Osaka e Simone Biles, incapaci di gestire l'ansia da prestazione che deriva anche dal giudizio universale di una claque pronta a cambiare opinione alla prima sconfitta. E la tennista argentina Nadia Podoroska, lasciando il Giappone, ha messo il punto (sui social, ovvio): «Prima di scrivere su di uno sportivo, pensate che siamo persone che soffrono come voi». Per la verità a leggere certe cose in rete non ci si giurerebbe molto: quando il famoso leone da tastiera sbrana, è perché ha fame di cattiveria e non ha tempo di preoccuparsi dei sentimenti. E quindi, l'altra faccia della medaglia (sfuggita) è proprio questa: in un mondo così narciso, si è disposti a rinunciare al proprio palcoscenico per non mettere in pericolo il risultato?
La risposta non è semplice. Per dire: una volta lo spogliatoio era sacro, oggi è un set di personalissimi spot pubblicitari. E così capitano disavventure come quelle di tre giocatori del Milan - Biglia, Kessie e Rebic - ripresi da un compagno mentre fissano il cellulare. Era due anni fa: la squadra quel giorno perde, sui social arriva la valanga (di che cosa, lo ha spiegato bene Mazzanti ieri), l'allenatore Pioli corre ai ripari sostenendo che stavano ripassando gli schemi su un'app e non stavano chattando.
Vero o no, a quel punto però la webcrocefissione era già avvenuta. E il resto è vita (moderna).Tokio, abbiamo perso, e fino a che parliamo di sport si può trangugiare una sconfitta. Ma quando poi si rischia di finire oltre il campo, certe caramelle possono diventare pericolose.
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