"Baggio mi salvò la vita dopo l'infortunio. Totti che ritorna? L'ho chiamato e rideva"

L'ex portiere Sebastien Frey: "Soffrivo troppo, Roby mi indicò il buddismo"

Sebastien Frey
Sebastien Frey
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I sogni hanno sempre riempito il vuoto nel cielo di Sebastien Frey, che oggi ha 44 anni e ama ancora l'adrenalina che corre nelle vene trasformandosi in Istinto puro, titolo non casuale dell'autobiografia scritta con Federico Calabrese ed edita da Minerva. Frey è un francese (natio di Thonon-les-Bains) non sciovinista, e già questo basterebbe a renderlo un transalpino decisamente sui generis; ma Sébastien è stato soprattutto un portiere fortissimo che ha collezionato in carriera 446 partite: quinto tra i giocatori stranieri più presenti in Serie A, alle spalle di Javier Zanetti, Samir Handanovic, Goran Pandev e José Altafini.

L'emozione più grande?

«Arrivare all'Inter nel 1998 e scoprire il grande calcio».

Nella «sua» Inter c'era, tra i tanti top player, anche un certo Roberto Baggio.

«Considero Roberto più di un amico. È lui che mi salvato la vita».

Racconti...

«Nel 2006, nel pieno delle forze, ho subito un incidente al ginocchio che ha messo a rischio la mia carriera. Ricordo la faccia dei medici che scuotevano la testa... Fu un periodo di sofferenza terribile, l'operazione fu complicata, i tempi di recupero lunghi. Lo spettro della depressione era in agguato».

Ma cosa c'entra Baggio?

«Sapevo che anche lui aveva subito un intervento importante al ginocchio. Lo chiamai per chiedere consigli e conforto morale».

E quella telefonata l'aiutò?

«Di più: mi ha cambiato l'esistenza».

In che modo?

«Attraverso un percorso nella filosofia della fede buddista».

La stessa religione abbracciata da Baggio.

«E da allora praticata anche da me. Se oggi sono un uomo sereno con me stesso e con il prossimo lo devo al cammino interiore che mi ha indicato Roberto facendomi scoprire una miniera infinita di potenzialità».

I valori del calcio di oggi vanno in tutt'altra direzione...

«Dobbiamo aiutare i giovani a percepire lo sport come un'opportunità spirituale, un'occasione di crescita in nome della solidarietà».

Il calcio è un gioco di gruppo, ma il portiere incarna la solitudine...

«Non è più così. Ora è sempre nel vivo del match. Sa nell'ultima partita dell'Inter quanti palloni ha giocato Sommer coi piedi? 41. Più di molti suoi compagni di squadra».

E questo cosa significa?

«Che il ruolo si è evoluto in maniera straordinaria».

C'è invece chi la definisce un'involuzione...

«Non sono d'accordo. E lo dice uno che ha precorso i tempi grazie alla lungimiranza tattica di mister Prandelli che quando arrivò a Parma iniziò a far giocare con i piedi anche noi i portieri. All'epoca non lo faceva nessuno, ora lo fanno tutti».

Dopo aver appeso i guanti al chiodo, nessun rimpianto? Voglia di tornare nel grande giro?

«No, ho avuto una stupenda carriera da calciatore. Ora mi godo gli affetti più cari e mi sento realizzato».

Totti invece, più o meno scherzosamente, ha detto che delle squadre di serie A ancora lo cercano. E lui ci pensa...

«Secondo me ha fatto solo una provocazione. Io, letta l'indiscrezione, l'ho chiamato perché Francesco è un amico. Scherzando, l'ho preso un po' in giro... gli ho detto Francesco, ma non ti eri dato al padel?».

Risposta del Pupone?

«Si è messo a ridere».

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