Basta con l'Italrugby perdente di successo

Le altre Nazionali a processo per un ko. A loro se ne perdonano anche 15 di fila

Basta con l'Italrugby perdente di successo

Quindici sconfitte di fila. Forse è arrivato il momento di fermarsi a riflettere. E vale anche per il rugby, sport antico, eroico, leale e dei buoni sentimenti dove le polemiche e le moviole lasciano spazio a una pinta di birra alzata con gli avversari in quel terzo tempo tanto unico ed invano imitato. Quindici sconfitte senza battere ciglio, onorevoli per carità, che se fosse toccato agli azzurri del calcio (com'è toccato) apriti cielo! E a cui sembra quasi si siano un po' tutti rassegnati, tifosi compresi. Tant'è che vincere sembra sia diventato un trascurabile dettaglio, retaggio lasciato con nobile distacco ad altri sport meno nobili così «miseramente» attaccati alle cose terrene. Ma vincere (e non partecipare) è l'essenza dello sport, quello vero, quello degli atleti, dei campioni che quando sono in gara non cercano alibi e non fanno sconti a nessuno, figurarsi a se stessi.

Che poi magari perdono anche perché qualcuno che perde c'è sempre e perché perdere è un'opzione, ma solo l'ultima più sciagurata delle opzioni, difficile da comprendere e difficile da accettare per chi fa questo «mestiere». Scendere in campo per partecipare fa parte della retorica di uno sport che a certi livelli non esiste, è un'utopia che fa a pugni con una realtà quotidiana fatta di dedizione, tenacia, con l'ossessione degli allenamenti, del traguardo da raggiungere, con la disciplina, la rabbia e i sacrifici che uno si impone per arrivare a conquistare il suo sogno. Chiedete a Vincenzo Nibali quando è scattato sul Civiglio qualche mese fa andando a vincere il suo secondo Giro di Lombardia se si sarebbe accontentato anche di un «onorevole» secondo posto. O chiedete a Sofia Goggia se pochi giorni fa nella sua trionfale discesa di PyeongChang ha mai pensato in quel minuto e mezzo tutto d'oro che arrivare prima, seconda, terza o nei primi dieci sarebbe comunque stato un successo. Vada come vada ma nello sport si gioca per vincere. Nella finale di Champions, nella maratona olimpica come nel campetto di periferia o nell'ultima delle corsette parrocchiali.

Vittoria e sconfitta sono le due facce della medaglia ed anche della vita

che, nonostante tutta la retorica dei buoni sentimenti funziona così. È bello vincere ed è utile (utilissimo) anche perdere dopo aver combattuto, lottato, dopo aver dato tutto quanto di cui si è capaci: tertium non datur.

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