Josè Ramos Do Nascimento si scruta la punta delle scarpe, perplesso. Possiede mezzi tecnici discreti, ma niente di trascendentale. Al campo lo chiamano Dondinho. Gioca per il Bauru Atletico Club, ma raramente riesce a fare la differenza. Gli anni trascorrono spietati. E si sa, i padri tendono a proiettare sui figli la prospettiva di quel che avrebbero voluto essere, ma non sono mai stati. Dico – è come chiamano suo figlio lui e mamma Celeste – pare molto più promettente di lui. Nato il 23 ottobre 1940, a soli otto anni dribbla già meglio di tutti i suoi compagni. È veloce il doppio. E soprattutto segna caterve di gol. Poi corre tra le sue braccia e sfodera un enorme sorriso avorio, due gigantesche pupille che si dilatano per la gioia. Ora Josè è un po’ meno perplesso. Forse è Dico il suo lasciapassare per abbordare una vita migliore del formato favelas.
Chi è Pelé: le origini del soprannome
Dico, che poi si chiamerebbe Edson Arantes Do Nascimento, cresce in fretta. La scuola non è il suo ecosistema e nei ritagli scuce qualche spicciolo ai più grandi facendo il lustrascarpe. Il suo destino però è inciso in un pallone che rotola. Ad un certo punto gli affibbiano un altro nomignolo. Iniziano a chiamarlo Pelé. L’origine non è nitida. Per alcuni scaturirebbe dai campetti brulli su cui affina il suo talento (un campo senza erba, cioè un campo “pelado”). Altri invece ritengono che si tratti di un’assonanza cercata con il cognome di un ragazzino, tale Quele, che al tempo giocava con il portamento di un fenomeno.
Svezia 1958, il primo grande trionfo
Scatto in avanti. Nemmeno maggiorenne - è il 1958 - il Brasile lo convoca per il mondiale in Svezia. In squadra dovrebbe fare il comprimario, perché davanti a lui c’è gente del calibro di Altafini, Garrincha e Zagallo. I verdeoro sono quotati bene, ma non hanno mai sollevato la coppa. Pelé resta a guardare per le prime due gare e, nel frattempo, scruta da vicino – come racconterà lui stesso in seguito – anche le bionde native. Nei dintorni di Goteborg, dove la nazionale è in ritiro, si consuma una delle sue primissime esperienze con il sesso. Il vero flirt però giunge sul campo. Il ct Vicente Feola se lo gioca contro i bionici calciatori dell’Urss e lui ripaga la fiducia con gli interessi, trascinando la squadra al successo. Da lì in poi non si fermerà più. Giustizia il Galles di Charles con un gol fenomenale. Ne segna tre alla Francia del bomber Just Fontaine. Ne fa due in finale contro la Svezia. Oltre alla caterva di reti, sorprende per la disinvoltura con cui dribbla, per il modo in cui accarezza il pallone, per le accelerazioni che funestano le retroguardie avversarie. Il Brasile leva finalmente contro il cielo la coppa. Tutto il mondo adesso ha il suo nome sulla punta delle labbra.
Dove ha giocato
Inizia a trillare il telefono del Santos, la squadra in cui gioca. Prima il Real Madrid: andarci sarebbe un sogno, ma il club brasiliano spara altissimo per il cartellino. Sa bene che Pelé è una miniera d’oro portatile: ovunque chiedono amichevoli lautamente ricompensate. Tutti vogliono vederlo giocare dal vivo. Si fa avanti anche Gianni Agnelli. Nulla da fare, anche la Signora va in bianco. Il club che ci va più vicino in assoluto è il Napoli: Pelè ha letteralmente la maglia azzurra cucita addosso, quando arriva l’impensabile dietrofront. La società ha già venduto tutti gli abbonamenti. Il suo arrivo farebbe detonare una catastrofe in termini di ordine pubblico. Servirebbe un altro San Paolo per accogliere tutte le richieste. Non se ne fa di nulla. Il mancato approdo nel calcio europeo è perenne tema del contendere. Si può davvero definire O’ Rey uno che ha giocato soltanto in Brasile e negli Usa? Il confronto con Maradona pende spesso dalla parte del fuoriclasse argentino per questo motivo. Alcuni sostengono che ad un certo punto si sia messo in mezzo addirittura il governo brasiliano: Pelè era un’industria che non poteva levare l’ancora. Lui in seguito dirà: “avevo tante opportunità, ma in quel momento il Santos era tra i club più grandi del mondo e stavo bene lì”.
In Cile e in Inghilterra a mezzo servizio
Vince un’altra coppa del mondo in Cile, nel 1962, ma non se la sente troppo addosso perché si fa male quasi subito. Fa comunque in tempo a piazzare due gol e un assist. Quattro anni dopo, alla corte della regina, diventa il primo calciatore nella storia ad aver segnato in tre competizioni iridate diverse. Si ferma anche qui, a causa della scomposta ruvidità con cui i difensori trattano le sue caviglie. Privata del suo talento più fulgido la Seleção viene sbattuta fuori nel girone. Non una gran figura.
L’apice a Messico 1970
Quel frullato di mestizia è destinato ad essere archiviato in fretta. A mondiali messicani del 1970 il nostro si presenta all’apice della sua maturità calcistica. La sua superiorità in campo lambisce contorni oltraggiosi. Gli avversari sono ridotti in poltiglia. In finale c’è l’Italia: chi vince si aggiudica l’ultima edizione della coppa Rimet. Anche chi non l’ha visto dal vivo sa: Pelé aggancia una corrente ascensionale, sale in testa a Tarcisio Burgnich, resta sospeso in aria per un tempo infinito e sblocca la gara. Finirà in mattanza: 4-1 verdeoro, terzo successo mondiale. La versione più fulgida di Edson.
Gli oltre 1000 gol in carriera e l’epilogo a New York
Dopo quel momento la sua carriera infila il declivio scosceso che conduce verso l’epilogo. Ha l’acume per capire che gli conviene monetizzare il più possibile e diventa il frontman di un gran numero di sponsor. Nel frattempo continua comunque a segnare a manovella. A fine carriera, tra Santos e nazionale, si conteranno oltre 1000 reti. Chiuderà ai New York Cosmos, dove gli srotolano un tappeto di dollari e dove dice di essere andato per aprire le frontiere calcistiche negli States. Il più grande di sempre? Forse manca la riprova. Magari in Europa sarebbe andata diversamente. Di certo quando ci pensi è il primo nome sulla punta delle labbra.
Riconoscimenti, premi
Nel corso della sua luminosa carriera, oltre ai titoli vinti con il Santos e con la nazionale, Pelé ha fatto incetta di premi personali. Tra i principali spiccano:
Il titolo di miglior giovane dei Mondiali (Svezia 1958)
Quello di calciatore sudamericano dell’anno (1973)
L’inserimento nella National Soccer Hall of Fame (1993)
Il titolo di calciatore del secolo per la FIFA (2000)
Il Pallone d’oro FIFA – Prix d’honneur (2000)
Momenti iconici
Pelé è stato protagonista di numerosi frangenti che sono rimasti impressi nella memoria collettiva. Qui ne rammentiamo tre.
In Africa, negli anni Sessanta, infuria uno scontro sanguinario. La Nigeria è funestata dalla guerra di Secessione del Biafra, una strage da oltre un milione di morti. Quando però giunge la notizia che il fuoriclasse brasiliano potrebbe disputare una partita lì, il conflitto incredibilmente si interrompe. Vengono stabilite 48 ore di armistizio generale fra le truppe regolari e il fronte di liberazione: assurdo. Tutti assistono alla partita, in pace.
È eterna la disputa con El Pibe de Oro, Diego Armando Maradona. Meglio lui o Pelè? Il dibattito genera un attrito lungo anni. Il 15 agosto 2005 va però in onda “La notte del dieci”, show sulla tv argentina condotto proprio da Maradona. Il primo ospite? Pelé. I due conversano a lungo, tra ricordi e ampi sorrisi. Pace fatta e tensioni archiviate, ammesso che ce ne fossero mai davvero state.
Nel 1981 viene chiamato a prendere parte al cast
dell’iconico film “Fuga per la vittoria”. Gioca per la formazione degli Alleati con la maglia numero 10 sulle spalle ed il nome di Luis Fernadez, recitando al fianco di attori del calibro di Sylvester Stallone e Michael Cane.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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