S an Giovanni Bianco è un piccolo comune della Val Brembana. Davide Astori è nato lì, il 7 gennaio 1987, ma è cresciuto a San Pellegrino, dove vivono ancora i genitori. Da lì, annientati, sono partiti per Udine. A San Pellegrino, in segno di lutto, è stata cancellata la sfilata di Mezza Quaresima. Il sindaco, Vittorio Milesi: «Davide, alle doti tecniche abbinava umanità, generosità e serietà. A quei livelli non è affatto scontato».
A tutti i livelli la morte accomuna, diminuisce le distanze, rende propensi alla condiscendenza. Soprattutto se ad andarsene è un calciatore di 31 anni, con una figlia di due, un ragazzo come tanti che la sera prima aveva giocato alla Playstation prima di andare a dormire. La mattina dopo non c'era più. In questi momenti si parla bene di tutti, ma Davide Astori è stato veramente un bravo ragazzo, perbene, alle spalle l'educazione di una famiglia solida, unita.
Stava per firmare il rinnovo con la Fiorentina. Quattro anni. Avrebbe chiuso lì, dopo aver cominciato al Pontisola di Ponte San Pietro. Nel 2013 l'aveva ritrovato con la Nazionale di Prandelli per un'amichevole prima della Confedetions Cup. Gli avevano domandato che cosa gli mancasse di quei tempi. «Il tè del magazziniere Manzoni. Il migliore che ho bevuto».
Il Milan lo prende ma non gli darà mai il domicilio. Pizzighettone e Cremonese in C1, quindi Cagliari dove esordisce in serie A a 21 anni, il 14 settembre 2008. Allenatore è Max Allegri che lo soprannomina il tedesco per l'applicazione e l'impegno. Resta sull'isola fino al 2014, un anno a Roma, infine Firenze. Pioli gli consegna la fascia.
La scheda tecnica recita: difensore centrale mancino, abile nel gioco aereo e nel far ripartire l'azione. Ma c'è un'altra scheda. La illustra Luca Rossettini, difensore del Genoa, compagno di Astori a Cagliari, in difesa e con la canna da pesca: «Spesso dei calciatori si dice che in campo sono una cosa e fuori un'altra. Davide non cambiava. Nel calcio ti devi poter fidare di chi ti sta accanto, è qualcosa che va al di là anche dell'amicizia. E di Davide ti fidavi».
A Cagliari si era trovato bene, tanto da aprire una gelateria. «I sardi sono come i bergamaschi, all'inizio chiusi, poi si aprono». Al porceddu, però, preferiva ancora i casonsei di mamma. Diceva: «Il mio pregio? La tranquillità. Il mio difetto? La tranquillità». Un uomo tranquillo, ma non banale. Amava il design, l'architettura e non era insolito trovarlo a qualche mostra.
La sua compagna, Francesca Fioretti, era stata nella casa del Grande Fratello, poi a Colorado Café, infine a Pechino Express. Ma non erano stati i ruoli (il calciatore, la soubrette) a farli sintonizzare, quanto la comune passione per i viaggi. Si incontrarono a una festa di compleanno. Lei era appena tornata dal Vietnam. Cominciarono a parlare. Nel 2017 sono stati in Giappone con la piccola Vittoria, che ora ha due anni, per cui Francesca ha lasciato la tv.
Diceva: «Sono un calciatore per hobby». Amava il suo lavoro, ma lo prendeva con auto-ironico distacco. Una rarità.
Portava il 13 del suo idolo, Alessandro Nesta, e perché, da ragazzo, «quando entravo in campo con quel numero sulla maglia facevo sempre gol o una bella gara». A questo punto ci vorrebbe proprio il suo artista preferito, Ligabue. «Hai un momento Dio? Dove mi porti e poi, soprattutto, perché?».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.