Quel calcio che (purtroppo) c'era solo una volta...

Carrellata di miti con le loro perle di saggezza. Graziani: «In Paradiso segnerò il rigore a Grobbelaar»

Quel calcio che (purtroppo) c'era solo una volta...
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I gradini e la mano stretta a quella di un padre desideroso di condividere la passione calcistica con il figlio. L'improvvisa epifania di uno stadio. Lo speaker che legge le formazioni. Il sonoro di passione che accompagna lo sviluppo di un'azione.

Antonello Sette, giornalista e autore televisivo, nel suo «C'era una volta il calcio», edito da Palombi, inizia proprio da qui: dal ricordo di quella prima volta che ognuno di noi custodisce nitido nella memoria. Il sottofondo è dunque quello della nostalgia, ricordi scanditi dal gracchiare della radio, numeri di maglia dall'1 all'11, personaggi iconici ricchi di basette e fantasia. La galleria di campioni intervistati è vasta: da Altafini a Mazzola, da Antognoni a Gentile, da Bruno Conti a Garlaschelli, fino a Gigi Martini, Graziani, Pulici e Zaccarelli. E poi ancora Giordano, Serena e Schillaci o personaggi fuori dagli schemi come Agroppi, Sabatini e Zigoni. Senza dimenticare gli innovatori, da Arrigo Sacchi a Maifredi, da Galeone a Ventura.

Nel libro si trova così un dissacrante Aldo Agroppi che rivela che «del calcio di oggi salvo solo gli arbitri costretti ad avere a che fare con calciatori ignoranti e viziati». Oppure un José Altafini in pace con se stesso: «Non ho né incubi né rimorsi. Josè Altafini da Paracicaba ha avuto una vita meravigliosa. I più forti calciatori italiani di tutti i tempi? Rivera e Baggio». Bruno Conti ricorda il provino con Helenio Herrera, «mi disse che non avevo il fisico per giocare a pallone». Renzo Garlaschelli il primo incontro con Tommaso Maestrelli: «Mi disse: tu sei bravo, ma la palla devi passarla a Chinaglia, che è un rompiscatole di professione». Ciccio Graziani confessa di non essersi ancora liberato dal ricordo del rigore sbagliato in finale di Coppa dei Campioni. «Spero di poter rivivere quell'attimo quando Grobbelaar e io ci ritroveremo in Paradiso. Questa volta la butto dentro». Sandro Mazzola riflette sui campioni di ieri. «Sarebbero fenomeni anche oggi. Certo dovrebbero rinunciare ad alcuni abitudini consolidate. Noi ci calavamo dalla finestra e tornavamo in stanza prima dell'alba. Là sotto ci aspettavano donne, che ci chiedevano soldi in cambio di una prestazione amorosa». Paolo Pulici si sofferma sul suo legame con la maglia granata. «La Mercedes rossa amaranto? È stata una bella soddisfazione. Il Toro è stato la mia vita». E poi le giacchette nere, con Paolo Casarin che descrive il rapporto straordinario con Diego Armando Maradona. «Era correttissimo, ma aveva sempre le scarpe slacciate. Gli dicevo che, se se le fosse allacciate, poteva capitare che gli fischiassi un rigore. Mi rispondeva che non voleva nessun rigore, ma voleva le scarpe slacciate». Una chiosa la merita Gianfranco Zigoni, il George Best italiano, sinonimo di genio e sregolatezza.

«Continuo a pensare di essere stato da bambino più forte di Pelè, ma ho messo la mia libertà davanti ai sacrifici. Il calcio non l'ho mai amato sino in fondo. Il mio sogno era di morire sul campo e che Sandro Ciotti chiedesse un giorno la linea dallo Zigoni di Verona».

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