Carlos e il magico gioco (juventino) del 9 e mezzo

Più centravanti, mezza punta o trequartista? Ma forse il ruolo di Tevez è quello che inventò Roi Michel

Carlitos Tevez
Carlitos Tevez

Il dubbio non è amletico ma soltanto juventino: Carlo Tevez è un centroavanti? Oppure una mezza punta o trequartista? Ho utilizzato termini antico perché il dubbio ha un responsabile: Michel Platini. Fu lui a definire Roberto Baggio un «nove e mezzo», perché non era un centravanti, non era un regista, dunque, per il maligno docente di Nancy, era una via di mezzo, rispetto a lui e al resto dei grandi attaccanti della Juventus. Carlos Tevez ha finora realizzato 45 gol in 84 presenze, non solo di campionato. Paragonarlo ai predecessori juventini con il 10 sulle spalle è un gioco che appassiona i tifosi e può far lievitare le richieste di stipendio.

Tevez è un argentino libero di andare dove lo porta la sua fame, non la sua fama, corre spinto dalla rabbia antica ma leale, fa esplodere la sua potenza e prepotenza, da fermo, in corsa, non lo vedi saltare di testa, altri se ne occupano e lui, eventualmente va a concludere il colpo. Non ha la perfidia di Enrique Omar Sivori che sfotteva l'avversario, lo infilava in tunnel, lo provocava tenendo i calzettoni arrotolati sulle caviglie prima che le norme Fifa, per il timore del contagio AIDS, ne facessero divieto. I gol del cabezon, così detto per la sua testa grande rispetto al corpo da tanghista, erano scippi o numeri d'arte prestipedatoria, massaggiava il cuoio, lo toccava di interno e di zembo, cioè di taglio, non era un dio sui calci di punizione che lasciava ai suoi colleghi, era un anarchico che non amava le rivoluzioni ma l'attentato alla porta rivale. Michel Platini aveva nella normalità fisica e di gioco la propria vera grandezza, unica. Dribblava sul tempo, non sul contatto, intuiva le idee dell'avversario e anticipava i movimenti dei propri compagni; quando arrivò a Torino, un giornalista poeta gli domandò: «Lei calcia i punizioni a foglia morta. Come si dice in francese?». Michel prima lo guardò stupito, poi replicò: «Feuilles mortes», Jacques Prevert non avrebbe mai immaginato il dialogo. Platini era magnifica presenza, leader anche senza fascia al braccio, intelligente ma non scaltro, Agnelli con lui provò il piacere di chi può parlare con il proprio giocattolo preferito.

Il football di Roberto Baggio era come l'arte di un pittore, l'Avvocato, ancora e sempre lui, lo volle battezzare Raffaello, ogni mossa sul campo era un colore sulla tavola, Baggio era Baggino, un solitario, gemma preziosa e isola nell'oceano di naviganti, aveva gambe ferite da mille colpi e operazioni ma piedi e cervello sapevano disegnare quadri, gesti, gol, azioni, tutte fenomenali. Non era uomo da titolo ma da copertina, non rilasciava interviste da scoop ma un sussurro era come il suo dribbling, finiva andando a gonfiare la rete. Raffaello Sanzio fu sodale di Pinturicchio, dunque Baggio andò a fare coppia con Del Piero, Gianni Agnelli, ci risiamo, godeva così per l'arte del pallone. Del Piero è stato un 10 moderno, non «veneziano», sudamericano, narcisista ma essenziale e magico assieme, giocava, dovrei dire ahilui, gioca ancora, di destro ma sapendo usare il sinistro, ha avuto, rispetto a Raffaello Baggio, un modo di presentarsi più spettacolare, presente e presenzialista, un veneto diverso da Roberto, anima di una squadra che lo prese a capire e a farlo suo, in ritardo. Dovrei dire ancora di Zidane che non portava il 10 per quella ignorante moda importata dalla cultura yankee. Ma Zizou era un 10 totale, postmoderno, non goleador ma lupo solitario, mai egoista ma generoso al punto da perdere la testa, in tutti isensi. Tevez si è messo in coda a questo magico corteo. Lo aspettano altre tappe per migliorarsi e scalare la classifica romantica soltanto per i tifosi della gobba di Torino.

Gli mancano undici gol per battere il record strano di Omar Sivori che lui non conobbe ma di cui sicuramente ha sentito parlare in quella terra di femmine bellissime, di ballerini provocanti e di calciatori artisti che si chiama Argentina. Dieci, nove e mezzo, nove, il gioco continua.

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