Carosio, padre di tutte le voci: fuori gioco per un guardalinee

Inventò le radiocronache, raccontò il calcio per 40 anni. Gli tolsero il microfono per una frase razzista mai detta

Carosio, padre di tutte le voci: fuori gioco per un guardalinee

Carosio. E basta. Nessun altro. Niente: diamo la linea a... Nicolò con una ci sola. Grande, grandissimo Nick, una voce, da ventennio, chiara, secca nel tono, epica, narrante. Un viso da siciliano, come era il padre suo, itinerante ispettore di dogane; uno stile inglese, come l'origine della madre, Josy Holland, pianista, musicista, in verità di matrice maltese. Una fetta enorme del giornalismo radiofonico e, soltanto in parte, televisivo. Il quartiere palermitano di Seralcadi, all'inizio del Novecento, poteva considerarsi una sorta di enclave araba. Qui nacque il 15 di marzo del Novecentosette, Nicolò che prese il nome in omaggio al nonno titolare di una libreria, là dove i palermitani passavano, dopo la controra, a scambiarsi parole.

Dopo la leva, nella provincia granda a Bra, il ventunenne caporale Carosio Nicolò, andò prima a Napoli e quindi a Genova, seguendo il lavoro del padre, iscrivendosi a Medicina ma preferendo il gioco del football, le fumose sale di biliardo al punto che il padre, austero e severo, lo spedì alla Shell, in ufficio avrebbe imparato l'arte del lavoro quotidiano. Nemmeno il cambio di facoltà, da Medicina a Giurisprudenza, servì a distrarlo, c'era il calcio e a ventiquattro anni, quando raggiunse in Inghilterra i parenti di mom Josy, restò incantato davanti alla leggenda di Herbert Chapman che a Bbc radio illustrava il nuovo sistema di gioco, l'introduzione dei numeri sulle maglie dei calciatori, l'uso dell'illuminazione per le gare in notturna. Nick, come veniva chiamato in famiglia, tornò in Italia con quel sogno in valigia, in uno stanzino della Shell, come un clandestino, inventava cronache, parlando ad ascoltatori assenti, immaginari. Venne l'Eiar, l'Ente italiano audizione radiofoniche. Carosio si offrì per un provino, scrisse una lettera breve e ricevette questo telegramma di risposta: «Disposti accettare sua offerta preghiamola confermare telegrafo sua venuta primo maggio Torino, rimborso lire 250 totali. Cordialità».

Il ragazzo si presentò e prese a inventarsi la cronaca di Juventus-Bologna, parlando, senza sosta, per minuti quindici, al che il direttore generale Chiodelli lo confortò: «Bene, bene, giovanotto, ne ha di voce lei». Non lasciò la Shell che gli garantiva lire 700 al mese, debuttò con Italia-Germania, un classico d'epoca, l'1 gennaio del '33, al Littoriale di Bologna: Meazza, Costantino e Schiavio regalarono la vittoria agli azzurri, dopo il vantaggio d'avvio di Rohr.

Seguì una vita, prima a bordo campo, tra pioggia, vento, caldo e afa, con il Borsalino, il cappotto o l'impermeabile, il microfono, il taccuino degli appunti e il racconto. Frequentava lo spogliatoio della nazionale, si teneva alla larga da quelli delle squadre di club. La cresima del figlio Paolo gli evitò la morte a Superga. Il Torino aveva invitato Carosio alla trasferta di Lisbona, per l'impegno di famiglia Nick rifiutò il viaggio e al suo posto salì Renato Tosatti.

Vennero altre partite, finì sotto il sombrero messicano del mondiale '70. Durante Italia-Israele contestò il guardalinee etiope, per un gol regolare di Riva, annullato inspiegabilmente. Carosio non usò alcuna volgarità o frase razzista ma qualche ignorante vigliacco e l'ambasciata etiope lo accusarono. L'assistente di linea etiope, tra l'altro, si era allenato, per un mese, con la nazionale israeliana ed era stato attaccato dalla critica mondiale per come aveva diretto la prima partita tra Israele e Svezia. Quel caso costò la fine del rapporto di Nicolò Carosio, dopo quarant'anni, con la Rai, ex Eiar.

Il ricordo di Nick stava ai tavoli de l'Assassino, ristorante toscano di Ottavio Gori nel cuore di Milano. Insieme con Nereo Rocco, facevano l'alba, parlando di tutto, bevendo di ogni, non posso dire quanto, comunque di più. Proprio a l'Assassino, Nicolò, ormai ritiratosi da qualunque commento in voce, si fermò all'ora di pranzo e venne riconosciuto da una coppia, al tavolo di fianco. L'uomo si alzò dalla propria sedia e, avvicinandosi con cautela, azzardò: «Stavamo discutendo con la signora sulla sua età, quasi ottant'anni, no?». Carosio afferrò il bianco tovagliolo e replicò con la baionetta in canna: «Si dà il caso che io abbia settantaquattro anni, che lei sia uno stronzo e sua moglie una prostituta!». Il signore, sbalordito e tremante, provò a spiegare: «Ci scusi ma comunque mia moglie è morta tre anni fa». Nick lasciò la presa della nappa e, come un vecchio signore inglese, abbandonò per un attimo la postazione, quasi con un inchino: «Mi alzo deferente alla memoria di sua moglie ma ciò non toglie che lei sia uno stronzo e quella signora una prostituta».

Questo era Nick, lo stesso di «Rivera, alzarsi e correre», di «Calcio da salotto!», «Ahi, ahi si mette male», «Un whiscaccio a Dio piacendo» di «Giorgina di Mario Corso da San Michele Extra», «Mazzolino», «Stangata», «L'Internazionale di Milano». Lo stesso imprevedibile Nick che, un pomeriggio al Meazza, raccontando al telefono, in tribuna stampa, per una emittente bergamasca, una partita tra l'Inter e l'Atalanta, scorgendo il passo tronfio di Franco Servello, deputato missino, interruppe la diretta e, con voce stentorea, proclamò: «E ora, dinanzi a noi, l'onorevole Franco Servello fa il suo ingresso a San Siro anziché a San Vittore».

Gli ricordai, una

sera, che mio padre era stato suo assistente tecnico allo stadio della Vittoria di Bari, per una Bari-Milan del dopoguerra. Mi guardò, sconsolato: «Non bastava tuo padre, ora anche il figlio!». Tempi bellissimi.

(14. Continua)

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