Cipollini frusta i «girini» d’oggi: «Sfaticati e troppo tecnologici»

Cipollini frusta i «girini» d’oggi: «Sfaticati e troppo tecnologici»

nostro inviato a Sestri Levante
Ormai s’è capito: il giudizio universale cadrà domani, salendo a Cervinia. I campionissimi del gruppo ce lo annunciano da due settimane esatte, dal via danese. Nell’attesa, sempre sbobba. Anche a Sestri Levante: fuga di valorosi comprimari per il Giro di seconda divisione, il Giro che non c’entra nulla con la maglia rosa, e bella vittoria del danese Bak. Alle spalle, tutti in fila dietro a Basso e al leader di classifica Rodriguez, i due che più temevano imboscate nel finale scabroso di queste discese liguri. Unico brivido, la foratura di Scarponi: sai che emozione. «Sono felicissimo - riconosce Basso con sorriso a sessantaquattro denti - è andato tutto come volevamo». Il peggio, per lui, è passato. Da domani (oggi sprintone a Cervere) dovrebbe cominciare il suo Giro, e con il suo si spera anche il nostro, quello vero. Basta scorrere i primi cinque nomi della classifica per comprendere quanto intendo dire.
Questo Giro col braccino, che concede molto poco, facendosi molto pregare, non ha narcotizzato solo i buongustai sedentari del ciclismo. Sul traguardo di Sestri, mentre si presentano i volumi storici della Gazzetta, al partito dei delusi e dei seccati si iscrive un nome grosso: Mario Cipollini. Sul gruppo dei suoi eredi si abbatte una sanguinosa frustata. Personalmente sottoscrivo le sue parole dalla prima all’ultima. Le riporto fedelmente, come le pronuncia lui, tra l’accorato e il furibondo.
«Guardo i ciclisti moderni e trovo solo svilimento della professione. Basta aprire questi libri con la storia del Giro: i corridori del Dopoguerra hanno sopportato fatiche immani per ricominciare. Era fatica anche solo presentarsi al via, passando tra le macerie. Ora ovviamente è tutto cambiato. Ora la tecnologia è esasperata, però si perde per strada l’epica. Finora, in questo Giro, ho visto tappe assurde. C’era la possibilità di tentare qualcosa, ma sono venuti avanti tutti al passo, controllandosi a vicenda. Il prodotto è questo. I motivi? Bisognerebbe affrontare il discorso in modo profondo. Dico solo che ai miei tempi era difficile diventare professionista, riusciva soltanto a una decina di giovani ogni anno, adesso passano in cinquanta alla volta. Troppo facile, non c’è più selezione. L’altro giorno, sul palco Rai, chiedevo a Cavendish i motivi del suo appannamento. Mi ha risposto così: sai, abbiamo superato le montagne. Come, dico io: ma se le montagne devono ancora arrivare?!? Suggerisco una cosa, a questi ragazzi: anziché comprare tanti cellulari e computerini, comprino un po’ di questi libri storici. Sperando che imparino qualcosa…».
Certo c’è una vena di reducismo, certo tutte le generazioni considerano le successive un po’ pigre e debosciate. Ma anche al netto del conflitto generazionale, le parole del Cipo piombano sul gruppo affilate e contundenti. Gli avvocati della difesa sostengono che non si può chiedere tutto, a questi ragazzi: correre senza doping e sbattersi per tre settimane intere. Questo è giusto. Ma c’è una bella via di mezzo. Non ci si può trascinare in Giro per così tanto tempo con l’alibi delle salite finali, attese e temute come spettri.


Io ho una mia teoria: se i clienti sono questi, è il gestore del locale che deve obbligarli a scomodarsi prima. Con qualche tappa vera anche nella prima e nella seconda settimana. Ma c’è un problema: qui è più pigro il gestore dei clienti.

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