Meglio un derby a porte chiuse che con 1700 agenti

Lo Stato non può farsi carico delle turbe, dei livori e delle tracotanze delle tifoserie. Né consentire che le tifoserie medesime lo costringano a mettere mezza città in stato d'assedio e gli agenti in tenuta antisommossa

Meglio un derby a porte chiuse che con 1700 agenti

Questa volta è andata così, con l'intervento di mille e settecento-millenovecento appartenenti ai corpi di polizia, carabinieri e finanza. Ma questo imponente schieramento per garantire l'ordine in occasione di una partita di pallone dovrebbe, se il buon senso trova casa al Viminale, essere l'ultimo. Non è solo questione di eccentrico impiego del pubblico danaro (quanto è costata la "macchina di sicurezza" approntata per il derby romano?), del blocco, in giornata lavorativa, della circolazione e della sospensione dal normale servizio di ordine pubblico di un numero spropositato di agenti. Il punto è che lo Stato, ancorché sociale, non può farsi carico delle turbe, dei livori e delle tracotanze delle tifoserie. Né consentire che le tifoserie medesime lo costringano a mettere mezza città in stato d'assedio e gli agenti in tenuta antisommossa. Può, ed anzi deve, far opera di prevenzione: al calcio si perdona quasi tutto, anche l'attività della tifoseria ultrà, la presenza sugli spalti degli animatori, dei registi di azioni e reazioni di branco le cui generalità sono note a chiunque. Cessando di chiudere un occhio in nome della sovranità nazionalpopolare del pallone, da quelle parti ipotesi di reato se ne troverebbero a dozzine. Prevenire dovrebbe poi essere anche cura delle società, cominciando col rompere il patto sciagurato che le lega - salvo poche eccezioni - alla parte più violenta e arrogante della tifoseria. Alla quale col tempo si è concesso un potere intimidatorio riconducibile a quello delle cosche.

Quello di far sì che lo stadio non diventi terra di nessuno (e le zone circostanti campi di battaglia) dovrebbe essere prima di tutto incombenza di chi dello stadio fa il suo palcoscenico: in quasi tutti i Paesi dove il calcio è religione civile ci si è riusciti. Pensare di raggiungere quel risultato dispiegando un esercito dentro e fuori lo stadio, come s'è fatto per il derby romano e dove comunque un paio di coltellate ci sono scappate, non è ragionevole. E nemmeno giusto: vedere quasi duemila agenti mobilitati per contenere le scalmane degli ultrà muove a sdegno anche chi il calcio lo ama, figuriamoci quelli ai quali è indifferente. Meglio, molto meglio sarebbe, alla prossima occasione di una partita a rischio, farla giocare a cancelli chiusi. Senza mezze misure. Tutto più semplice, tutto più facile e sicuro.

E siccome fra quelli umani condivisi e non negoziabili ancora non è annoverato il diritto a tifare come meglio piace per la squadra del cuore, senza pericolo di un ricorso al Tar (che per non smentirsi farebbe riaprire immediatamente i cancelli).

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