Nello sfogo seguito a Inter-Verona, Sean Sogliano, ds veronese, ha utilizzato due registri. Il primo, misurato e persino legittimo («non ho niente da dire contro l'arbitro, è il var che doveva intervenire per far annullare il gol di Frattesi»), il secondo - recitato davanti alle telecamere di Dazn - più limaccioso e dai toni complottisti. Quest'ultima frase ha fatto più rumore di tutte le altre messe insieme. Eccola: «Qualcuno più in alto del var ha deciso che doveva andare così». E qui il gioco si fa molto più duro perché si evoca una decisione, non presa negli studi di Lissone dove il varista Nasca ha scelto di non richiamare l'arbitro Fabbri alla revisione dell'azione, ma sarebbe stata suggerita altrove con l'intento di danneggiare il Verona, club nell'occhio del ciclone in queste ore per via dell'inchiesta penale che ha coinvolto il suo presidente Setti e sigillato le quote azionarie della società calcistica. Sul punto però non è cosa buona e giusta far finta di niente e liquidare lo sfogo come tale, quindi dettato dal dispetto e dalla rabbia della sconfitta, moltiplicati dalla beffa del rigore finale finito contro il palo. No. La frase del ds Sogliano non può passare inosservata né essere liquidata come voce dal sen fuggita. È molto probabile che oggi quel virgolettato finisca sul tavolo del procuratore federale Chinè provocando l'inevitabile deferimento del dirigente come è già accaduto per Mourinho nel recente passato. Quello che conta però è il chiarimento che Sogliano deve sull'argomento alla giustizia sportiva e all'opinione pubblica.
Perché sostenere che «qualcuno più in alto del var ha deciso che deve andare così» significa alludere ai massimi dirigenti arbitrali (chi?) oppure addirittura al vertice della federcalcio rappresentato dal presidente Gabriele Gravina. E questo è un sospetto gravissimo che il campionato di serie A e in particolare il duello scudetto tra Inter e Juventus giocato punto a punto non si può permettere.
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