È un peccato che Napoli, città votata alla cultura giuridica, non abbia apprezzato la sentenza educativa, educativa per il mondo del calcio, del caso Juan Jesus- Acerbi. Chiariamo subito che lo spettacolo del calcio è quanto di più diseducativo ci sia nel mondo dello sport. Appunto per questo non si dice sport, votato a valori più validi, ma solo spettacolo: nel caso specifico votato soprattutto ad affari, business ed ingannevoli pensate, in campo e fuori campo. Il caso, risolto con una sentenza di assoluzione per mancanza di prove, riconduce questo mondo a ricordare che leggi e sentenze vanno rispettate. Il giudice non ha condannato poiché la parola di un contendente valeva quella dell'altro, mancando altre prove o testimonianze. Non si potevano avere certezze assolute. Difficile condannare, come è capitato in casi di altro tipo, per un semplice sospetto. L'accusa era pesante, forse il razzismo andrebbe compreso, studiato e combattuto per tanti aspetti, non solo per una parola che compendi tutto. Stavolta il giudice ha spiegato alla gente del pallone che bisogna essere onesti in ogni forma. E il mondo del calcio non è particolarmente ferrato sulla materia. I giocatori cercano fantasiose soluzioni in campo: che si tratti di ingannare l'arbitro, di far espellere un avversario, di avere un vantaggio quando non si tratti di rubacchiare un gol o evitarlo con taluni stratagemmi. Il calcio abitua ad ingannare anche il pubblico, che spesso casca nella provocazione o nella sceneggiata. Fuori dal campo dirigenti, procuratori e gli stessi calciatori si valgono di ogni trovata per trarre vantaggio: e qui non si bada al lecito oppure no. Il calcio ci ha trascinato in tante vergogne: recenti o lontane. Ora Juan Jesus dice: fatico a comprendere la sentenza.
Un avvocato gli sarà d'aiuto. E, a maggior ragione, la sentenza non va valutata con il solito pro o contro ma piuttosto con una presa d'atto: finalmente il pallone non cerca scorciatoie. Si adegua alle leggi, che piaccia oppure no.
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