Un "derby" con in palio molto più che l'Europeo

La vicinanza con l'Albania, gli accordi tra Meloni e Rama e, per gli azzurri, l'inizio del cammino verso il Mondiale

Un "derby" con in palio molto più che l'Europeo
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nostro inviato a Dortmund

C'è il derby dell'hotspot per l'esordio dell'Italia all'Europeo di Germania. Figlio di quell'accordo dei mesi scorsi che la premier Giorgia Meloni ha raggiunto con l'omologo albanese, Edi Rama. Sempre su quella rotta Albania-Italia dove si è consumata una delle migrazioni che hanno segnato la storia. Era l'estate del 1991. Trentatré anni dopo sarà l'Albania ad accogliere migranti in arrivo dall'Africa sulle coste italiane.

Un'intesa, quella tra Meloni e Rama, messa alla prova dal pallone. A distanza. Rama ha chiuso i lavori del suo Parlamento per i prossimi dieci giorni, la Meloni è al G7. E Dortmund a suo modo deve fronteggiare un'altra invasione dai contorni biblici. Cinquantamila albanesi, mentre saranno circa diecimila i tifosi italiani attesi al Westfalenstadion. Tra i posti a loro riservati uno spicchio del famigerato «muro giallo» del Borussia finalista di Champions. A loro il compito di renderlo azzurro per una notte. Saremo in minoranza con il rosso e il nero del Paese delle Aquile a dominare il resto delle gradinate di un impianto inaugurato 50 anni fa, come ricorda una stella proprio ai piedi dell'iconica curva. Mezzo secolo di vita e non sentirlo, a differenza di stadi italiani eredità di Italia '90 e già fatiscenti.

Qui si gioca un derby che ha più significato politico e territoriale, con quei pochi chilometri di mare Adriatico che più che a separare uniscono le rispettive sponde. Perché è una sfida calcisticamente senza tradizione, con appena quattro precedenti, due amichevoli e due gare di qualificazione a Russia 2018. Una trappola per l'Italia, favorita per tradizione e anche forza. Non perché campione in carica: il trionfo di Wembley è stato «cancellato» dalla mancata qualificazione mondiale a Qatar 2022. Luciano Spalletti lo sa bene e ora chiama a raccolta l'Italia. «Voglio che i tifosi scendano in campo con noi, non che facciano il tifo». «Siamo eroi e giganti per i nostri connazionali, non avremo paura in una partita di calcio». Parole patriottiche per chiamare a raccolta il Paese attorno a una Nazionale alle prese con un complesso ricambio generazionale. Si chiama senso di appartenenza.

Si parte da quello stadio dove diciotto anni fa l'azzurro di Cannavaro e soci fece sbiadire il bianco dei panzer tedeschi. Pure stavolta si gioca fuori casa. Anche se in Germania quando si parla di pallone, gli italiani non si sentono mai ospiti. Ce lo ricordano quelle bandiere nero-rosso-gialle agitate dal vento che fanno da cornice nel ritiro dell'Italia a Iserlohn. Alle finestre di una casa ci sono due vessilli: uno tedesco, uno italiano. Magari ne resterà una alla fine, il 14 luglio.

Anche se la vittoria può essere effimera: piuttosto che un'altra coppa da esibire nella bacheca di Casa Azzurri a Iserlohn come quella alzata nel cielo di Wembley, per il calcio italiano sarebbe meglio un buon Europeo per gettare le basi di un ritorno da protagonisti al Mondiale.

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