Quel che Monza si porta a casa, dall'edizione dei record, è quella sensazione di primo giorno di scuola. Quando i volti sono tutti distesi, rilassati e con voglia di fare e programmare. Perché sarà stata pure l'edizione del centenario dell'autodromo, con i 75 anni della Ferrari, i 150 di Pirelli e i 112 di Alfa Romeo. Ma il senso primo di questo Gp dei record, con i 337mila spettatori calcolati sulla tre giorni, è quello di un ritorno alla normalità. Che passa innanzitutto dal serpente rosso di tifosi sotto il podio, nell'invasione di pista che tanto è mancata negli anni della pandemia. Una parola rimossa da una sorta di amnesia dissociativa, tanta era la voglia di ritrovare la Monza che era stata. Nessuna mascherina, nessun distanziamento. E nessun onore delle armi a Max Verstappen, che sul gradino alto non sente le note del Guglielmo, l'inno olandese, ma il nome di Leclerc invocato da decine di migliaia di tifosi accalcati.
Virtù e vizi sono sempre quelli: entusiasmo e nessuna grazia per la Fia, destinataria di fischi e improperi per l'arrivo con safety. A poche ore dal via, Mino Agostini aveva detto bene: «I piloti non sono impiegati di banca e la velocità non si può svilire». Cassandra di se stesso, visto che è lui a dover sventolare la bandiera a scacchi tra i buu del pubblico. L'aspetto sportivo lascia così un senso di incompiuto, ma a Monza resta la soddisfazione di essersi ripresa la prima fila nel Gp della mondanità. Chiedere al principe Alberto di Monaco, Silverster Stallone o Hugh Grant, volti patinati della promenade monzese. Su cui sfilano anche Buffon e Cannavaro, Ibrahimovic e Briatore, Buffon, Peruzzi, Al Bano e Zanicchi. Ma poi anche i motociclisti Bagnaia, Bastianini e Arbolino, Peruzzi, Ciro Ferrara e il cittì Mancini. Con Fedez e Ferragni, il Cunningham del Trono di spade, e maestri internazionali della cucina come Ernst Knam e Gordon Ramsey. Un'abbuffata di celebrità come non se ne apparecchiavano da anni, con lo chef Davide Oldani che confessa: «Rispetto al passato, oggi è un altro pianeta. Ma è la libertà che stavamo cercando», annota tra sollievo e rassegnazione. La luculliana presenza di mondanità, la esprimono con parole simili anche Batistuta e Federica Pellegrini, inebriati da questa Monza che nel paddock tanto assomiglia a un happy hour da Navigli o Corso Como. L'arrivo di Mattarella, con l'inno di Bocelli cantato al passaggio delle Frecce tricolori, ridà quel senso istituzionale dell'evento e delle ricorrenze che celebra.
Anche se è Emerson Fittipaldi, sulla sua Lotus con cui a Monza vinse gara e Mondiale 50 anni, a rimettere tutto al suo posto e a ricordare che la Formula 1 resta innanzitutto uno sport: «Quando ho guidato in Parabolica, al termine del giro di pista celebrativo, l'emozione è stata indescrivibile».
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