Tra dubbi e sospetti è cominciato il viaggio a Tokyo della disciplina olimpica per eccellenza. L'atletica si è riscoperta avvelenata da una rincorsa che con le gare non c'entra nulla: quella alle scarpe volanti, in grado di migliorare le prestazioni di mezzofondisti e velocisti ormai da quasi un anno e mezzo.
In principio fu Eliud Kipchoge, in grado di correre per la prima volta in assoluto la maratona (non omologata) sotto le due ore e indossando le Nike Vaporfly, modello studiato per garantire un ritorno di energia a ogni appoggio durante la corsa con una piastra in fibra di carbonio. Da lì è partita una rincorsa sfrenata da parte delle principali case produttrici internazionali per mettere al mondo calzature omologate dalla federazione mondiale, la World Athletics, costretta poi ad autorizzare anche i prototipi non esistenti sul mercato e concessi dalle aziende solo ad atleti scelti. Il peso degli sponsor e la pressione dei campioni ha marcato differenze ancora più nette, sia per le scarpe chiodate da pista sia per quelle usate su distanze più elevate.
L'avvicinamento ai Giochi Olimpici è stato caratterizzato dalla burrasca sollevata dalle prestazioni, su tutte quelle per il record dei diecimila sbriciolato in appena due giorni al meeting di Hengelo a inizio giugno. Prima ci ha pensato la mezzofondista olandese di origine etiope Sifan Hassan e poi l'etiope Letesenbet Gidey: da 29'17''45 si è passati a 29'01''03. Una voragine, amplificata dal fatto che i secondi cinquemila siano stati corsi con un tempo inferiore rispetto ai primi cinquemila, quando in genere avviene esattamente il contrario. La paternità di tale dominio è legata proprio alle scarpe utilizzate, in grado di offrire una propulsione a beneficio del tempo finale.
L'ex velocista azzurro Stefano Tilli ha studiato nel dettaglio le spasmodiche evoluzioni degli ultimi mesi, nate in appositi laboratori di ricerca biomeccanica: «Per le distanze lunghe ci sono una soletta in carbonio e una schiuma, in grado di restituire una spinta più elastica quando subentra la stanchezza. Invece per le scarpe chiodate c'è un plateau, un rialzamento nella parte anteriore. Tutto questo rende il piede più reattivo, salda le cerniere per gli angoli delle caviglie e quelle tra bacino e diaframma. Si corre con il corpo proteso in avanti, i tempi di contatto a terra sono minimi e l'attrito diminuisce. Certi accorgimenti fanno tutta la differenza del mondo».
Tra campioni platonici e prestazioni artefatte, la vicenda ricorda molto quella dei Mondiali di nuoto a Roma nel 2009, quando i costumoni in poliuretano partorirono 43 record iridati. La mancata regolamentazione e la disparità di trattamento creata dalla World Athletics, ha generato critiche feroci, con un capofila d'eccellenza come Usain Bolt: «Queste innovazioni sono ridicole. Le nuove scarpe danno un vantaggio sleale, i picchi di rendimento sono esagerati. Non posso credere che siamo arrivati a questo punto».
Non c'è record che possa sentirsi al riparo, a patto di rientrare tra gli atleti eletti, di alto livello, con un ricco contratto di sponsorizzazione. E guai a farselo portare via perché qualcun altro ha inventato una scarpa ancor più volante. Per l'italiana Diadora il responsabile marketing è un'icona del calibro di Gelindo Bordin, primo italiano a vincere la maratona olimpica nel 1988 a Seul. Altri tempi, il paragone non esiste: «Io correvo con una suola in eva fresata, ho fatto la maratona in due ore e otto minuti con scarpe da tempo libero. C'erano problemi di tendinite per tutti. E pensare che facevamo quasi 300 chilometri a settimana. Adesso siamo arrivati all'estremo, non si sa dove sia il limite e quanto si possa aiutare un atleta alterandone le prestazioni».
Le Olimpiadi in corso
potrebbero essere soltanto l'antipasto, visto il folto calendario da qui alla replica di Parigi nel 2024, con due Mondiali in mezzo tra Eugene e Budapest. Senza un freno, chissà come sarà la nuova atletica delle scarpe volanti.
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