Il sollievo del Maracanà: "Dio si è ricordato di essere brasiliano"

Evitato il ko di una nazione sotto il peso di un'umiliazione calcistica e di campanile

Il sollievo del Maracanà: "Dio si è ricordato di essere brasiliano"

nostro inviato a Rio de Janeiro
Sostenevano ieri al Maracanà, al minuto 19 del primo tempo, che finalmente Dio si fosse ricordato di essere brasiliano. Guidando il piede di Higuain a calciare sul Corcovado la più limpida delle palle gol. Forse questo Brasile ne aveva già avuto abbastanza. Mario, di cognome Goetze, 94 minuti più in là; Mario come tutte le donne, le Maria di questo Paese cattolico e devoto; Mario, entrato non a caso solo alla fine del secondo tempo, ha confermato.
«Così ci siamo salvati, possiamo andare a casa e prendere sonno». Il tifoso carioca, studente universitario, figlio di uno dei più noti manager del Paese, non la pensa diversamente dal popolo delle strade di Rio. Ieri poteva materializzarsi, in Brasile, la tempesta perfetta. Il ko di una nazione sotto il peso di un'umiliazione calcistica e di campanile. Scampato pericolo. I verdeoro restano pentacampeao, invariato il solco con gli albiceleste, fermi a quota due. Poco, quasi nulla importa che la Germania abbia accorciato le distanze e ora insegua da tetracampione, insieme con l'Italia. «A caro prezzo - dice un chirurgo dell'ospedale universitario - abbiamo rischiato di aver apparecchiato il più succulento dei tavoli per poi lasciarlo alla scorpacciata del nostro peggior nemico». Il quale a sua volta è venuto in massa fin qui per vincere al Maracaná la coppa che i brasiliani avevano pensato per loro, battendo in finale quelli che gli hanno inflitto lo storico setteauno dell'8 luglio 2014. In tanti di questi paradossi la finale di ieri a Rio è stata e rimarrà unica.
Certo, questa la domenica carioca doveva essere un'altra cosa. Che festa sarebbe stata con il Brasile in finale al Maracanà. Bastava guardare le case, i condomini che si affacciano sul catino, colorati di bandiere e di gente, con la colonna sonora improvvisata di ritmi samba, a tutto volume. Almeno è servito a evitare la catastrofe argentina. Dentro, tra i 74.738 presenti invece, si tagliavano con il coltello la rivalità, la tensione, le paure tra due popoli sudamericani. Che Guevara mandato in soffitta e anche un po' farsi benedire, definitivamente, al gioco del calcio. Era Germania-Argentina, ma pareva Germania Brasile. «Pelé, Pelé, mil gols só o Pelé, Maradona cheirador» (Pelé, mille gol solo Pelé, Maradona sniffatore). Gli argentini erano tanti da far impressione a Copacabana, ma in inferiorità al Maracanà. Con i tedeschi, tifavano e cantavano il coro di Pelé tutti i brasiliani che avevano preso il biglietto da mesi sperando che ieri sarebbe stata una giornata diversa, contando di vedere giocare la loro selecao. Ma il coro era anche quello di «Dilma, Dilma, vai a farti fottere». Che alzava il volume, dalla curva più brasileira delle altre, più si avvicinava la cerimonia di premiazione. Tutto a causa di quel 7-1 che ora pesa molto, ma molto di più delle proteste per le spese, la corruzione e gli sprechi di questi mondiali. Che pure ieri sono tornate a farsi sentire, con 250 manifestanti che si sono duramente scontrati con la polizia a un paio di chilometri dal Maracanà.
Ma per Dilma, che ieri si è presentata allo stadio solo pochi minuti prima della partita, lasciando Putin e Merkel soli nella cerimonia di chiusura, con disappunto di Blatter, il peggio inizia ora. La Coppa delle Coppe, come l'ha chiamata la presidente, ha avuto successo. Il Brasile ha vinto la sua scommessa. Ma il trofeo se ne va altrove. Non nel peggiore dei modi, ma quasi.

Si vedrà nella prima domenica di ottobre, quando il Brasile dovrà scegliere il suo presidente, se i mondiali 2014 avranno addirittura influito sull'esito elettorale di una democrazia da 200 milioni di abitanti. Oggi partono tutti, si smonta il Fan fest e il Paese torna a misurarsi con i suoi problemi.

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