- nostro inviato a Parigi -
Le road di Gimbo sono sempre complicate. Quella «to Rio» s'interruppe qualche settimana prima dei Giochi del 2016 e il campione ci andò comunque, lui, il gesso e la futura moglie Chiara. Non a gareggiare, si era lesionato il legamento deltoideo della caviglia sinistra, ma a tifare incondizionatamente per la squadra di atletica di cui era il diamante posato su un terreno fertile ma appena seminato. Zero medaglie fu il bilancio di quella spedizione, e a renderlo più rosso del previsto fu proprio la mancanza di Gimbo nella pedana dell'alto. Tamberi pianse seguendo la propria gara e le sue lacrime in mondovisione iniziarono a raccontare chi fosse realmente questo ragazzo marchigiano.
Per cui non è uno che si arrende facilmente Gimbo, nonostante l'oro olimpico di Tokyo abbia già provato sulla propria pelle che cosa significhi la maledizione olimpica. «Incredibile, non può essere vero», erano state infatti le sue prime parole l'altro ieri dopo la fitta lancinante a un fianco, la febbre a 39 e la corsa in pronto soccorso per scoprire che la sua road to Paris si stava di nuovo complicando, che era stato colpito da una colica renale. E «scenderò in pedana qualsiasi cosa accada, al 100%» sono state quelle pronunciate appena sbarcato a Parigi ieri pomeriggio. «Con i farmaci sembra che la febbre stia scendendo, il rene non mi fa più male. Speriamo bene». E se i dubbi medici si stanno diradando, altro discorso sono le perplessità prestazionali del nostro portabandiera atteso a difendere l'oro olimpico. «Mi auguro solo di riuscire a saltare alto, ma ripeto: sicuramente in pedana ci andrò».
Parole ben chiare anche per i medici della Fidal e del Coni che ieri sera, appena giunto al Villaggio, l'hanno sottoposto a controlli approfonditi, tenendolo poi monitorato. Rincuora l'ottimismo di Gimbo giunto a Parigi senza la fede nuziale persa nella Senna ma con una fede incrollabile in se stesso: dovrebbe significare che domani ore 10,05 il nostro portabandiera sarà regolarmente in pedana per le qualificazioni della gara dell'alto di sabato sera.
Per la verità, significa anche un'altra cosa: che c'è febbre e febbre, ma per i Giochi, per la medaglia, per questo premio di metallo con tre gradini di compensato da salire e scalare. C'è la febbre fatta di lacrime e felicità di un veterano di mille battaglie e altrettante soddisfazioni come Novak Djokovic che finalmente, dopo molti tentativi, riesce a mettersi al collo l'oro, «forse la mia vittoria più grande» dice, dimostrando la potenza del simbolismo sportivo a cinque cerchi. E c'è la febbre a 39 e il male nel ventre che spinge Tamberi a giurare che sarà comunque in pedana. Poi c'è un altro tipo di febbre, quella della tonsillite di Jannik Sinner, che l'ha tenuto lontano dai Giochi ancor prima che iniziassero. Sia ben inteso: atleta meraviglioso, ragazzo di valori, di famiglia, giovane che abbiamo esaltato per mesi per i messaggi di cui si era fatto portatore verso genitori e figli.
Ma un campione nel cui cuore, benché abbia detto che «gli si è spezzato» per la rinuncia, non si è ancora accesso il braciere olimpico: quello che tre anni fa ha fatto perdere uno storico Grande Slam nel tennis a Djokovic pur di essere a Tokyo, quello che fa giurare a Gimbo «io in pedana al 100%».
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