Chissà che ne direbbero i fantastici fans del Marocco nel sentir definire la nazionale loro: squadra femmina. Ne caverebbero una ragione d'onore o di disonore? Eppure, in Italia, Gianni Brera definiva così le squadre votate a difesa e contropiede. E non era assolutamente un disonore. Anzi, era una intuizione critica su squadre costituzionalmente incapaci di andare oltre la parata e la risposta. Poi Brera ne faceva anche una questione di psicologia razziale di un popolo. E si riferiva all'Italia come all'Uruguay, per esempio. Ma quello che in Italia ai tempi di Rocco ed Herrera, Trapattoni ed altri, veniva spregiativamente definito catenaccio e contropiede, o nel più soft difesa e contropiede, insomma l'anticalcio, oggi pare dai vaniloqui di tv e stampa scritta la riscoperta di un calcio bello, d'autore, affascinante, trainante. Per dirla con Deschamps che li affronterà: «È la squadra che si è difesa meglio, molto organizzata, dove i giocatori si sentono a proprio agio. Qualcosa di favoloso realizzato dal ct». Perfino Arrigo Sacchi ne parla bene, sottolineando l'umiltà nel fare squadra.
E qui vien da sorridere, o forse da ringraziare il Marocco per aver restituito dignità ad un tipo di gioco che proprio Sacchi e i suoi innumerevoli, talvolta dannosi, discepoli hanno sempre spregiato: si sono costruite fazioni di italiani pro e contro i difensivisti o contro i teoremi sacchiani, neppure si parlasse di destra o sinistra. Lo stesso Brera ha raccontato di aver subito toni accesi per aver scritto che in una sfida di coppa l'Atalanta si era difesa dallo Sporting giocando alla paesana. E tanto gli pesava avendo in simpatia Bergamo. Per il vero, il Marocco fin qui non ha fatto vedere un gioco alla paesana ma una gran difesa, lo dice il solo gol subito su autorete, e qualche difficoltà in più nel porgersi in contropiede per il gol. Calcio organizzato alla faccia del tiki taka, di schemi e contro schemi e degli inventori del nuovo football. «Se è arrivato in semifinale significa che non distrugge solo il gioco. Nessuno ha trovato le giuste soluzioni, dovremo trovarle noi», ha concluso Deschamps. E qui entra in campo quel tanto di antico che brilla nella Francia campione del mondo: oggi forse inferiore a quella che vinse, viste anche le assenze, ma con canoni rétro in attacco che non guastano: lo Giroud centravanti bomber dallo stile antico, forse non centravanti boa ma indomito assaltatore dell'area e una saetta nel nome di Mbappè che forse avrebbe reso il Marocco, stavolta si, quasi imbattibile. Ecco, allora, che Francia e Marocco ci riportano ad un calcio antico con rivisitazioni moderne ed è il meglio che potessimo chiedere a questo mondiale un po' scarsino di qualità. Altro saranno colore e calore del tifo marocchino.
Il ct Regragui, francese seduto sulla panca opposta, ha sintetizzato: «Vogliamo scrivere la storia: vincere il mondiale per l'Africa e il mondo arabo». Ad ognuno i suoi sogni. Ma questa è diventata una sfida tra umiltà antica e talento moderno.
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