C'è tanto lavoro dietro lo scudetto dell'Inter. Perché oggi è semplice dire che ha vinto la squadra più forte di tutte, ma l'Inter non è nata forte, lo è diventata col lavoro quotidiano, le esercitazioni, gli allenamenti. Anche il mattino del derby, sotto la pioggia battente di Appiano Gentile, Inzaghi ha fatto le prove sui calci di punizione e calcio d'angolo. Il gol di Acerbi, appena il secondo subìto in campionato dal Milan su colpo di testa, è nato lì, da quel blocco provato e riprovato e poi applicato in partita, dove la colpa sembra di Gabbia e invece il merito è di Acerbi, che sfrutta la superiorità numerica che gli attaccanti sanno creare sui difendenti. È anche nei particolari che si costruiscono gli scudetti e gli errori del passato sono serviti da lezione.
L'orgoglio nell'ora del trionfo non spinge Inzaghi a rivalse personali, che peraltro sono nei fatti. «Avevo altre proposte, ma ho accettato di venire all'Inter, che aveva appena vinto uno scudetto e stava cedendo giocatori importanti. Fin dalla prima partita col Real Madrid, la squadra mi ha seguito, le ho chiesto di cambiare, le ho dato il mio calcio, sono arrivate le vittorie, 6 trofei in 3 anni non sono pochi. Abbiamo vinto per 3 anni di fila la Supercoppa italiana, che non è scontato. Ci siamo qualificati al Mondiale per club, che era un obiettivo. Abbiamo fatto una finale di Champions e adesso questo trionfo da condividere con la nostra gente».
L'Inter voleva la seconda stella sul campo del Milan, ecco spiegata anche l'esultanza di Udine, per una vittoria non da scudetto («l'abbiamo vinto ai primi di marzo, a 10/12 partite dalla fine», sempre Inzaghi nell'emozione della festa), ma necessaria per rendere decisiva anche nell'aritmetica la sfida col Milan. La sesta consecutiva vinta da Inzaghi contro Pioli, record nella storia del derby.
Il lavoro di Inzaghi sovrapposto a quello di Marotta, entrambi al fianco di preziosi e fidati collaboratori. L'Inter ogni anno da tre anni a questa parte smontata per fare quadrare i conti e rimontata a costo inferiore e rendimento superiore. Una battuta ma non troppo quella pronunciata a caldo dal ds Piero Ausilio («il nostro mercato è chiuso»), col riferimento ai parametri zero Zielinski e Taremi, già bloccati. Non fosse una battuta, il più felice sarebbe certamente Inzaghi, di sicuro desideroso di ripartire dalla stessa Inter, a tratti parsa quasi perfetta, una delle più belle dell'intera storia nerazzurra. Marotta è certo di firmare presto i primi rinnovi, da Lautaro e Barella, soprattutto a Inzaghi. Il futuro è adesso.
La festa nella notte, prima al ristorante e poi a sorpresa anche in Duomo per i più scatenati, in attesa dell'abbraccio ai tifosi prima, durante e dopo la partita col Torino, originariamente prevista per sabato alle 15, ma ieri sera posposta alle 12.30 del giorno dopo per motivi di ordine pubblico (e la Lega evidentemente era stata previdente).
Sfilata sul bus scoperto da San Siro a piazza Duomo, atto secondo delle celebrazioni che avranno poi il culmine con la consegna ufficiale della Coppa, nell'ultima partita casalinga, il 19 maggio, al termine di Inter-Lazio. Quanto mai nel nome di Inzaghi.
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