Le conclusioni del Gip di Cremona scoprono una prassi illegale ridotta a banalità: «Per alcuni arrestati favorire la propria squadra non era affatto un reato e incidere sulle partite di fine campionato, in situazioni largamente consolidate, era scontato. I guadagni considerati delle integrazioni allo stipendio». Quasi senza precauzioni, in plein air, e così la mobile ha trovato terreno fertile. Ha perquisito, setacciato e requisito a raffica, con un’ondata di provvedimenti restrittivi, notifiche di avvisi di garanzia, sequestri e appartamenti rivoltati come calzini, comprese le residenze estive.
A Lucca perquisite all’alba le abitazioni versiliesi di Domenico Criscito e Daniele Corvia. A Viareggio i poliziotti hanno fatto visita all’appartamento in affitto dove sta trascorrendo le vacanze il giocatore del Lecce e gli hanno sequestrato due schede sim e un tablet. Nell’abitazione di Cinquale dove trascorre le vacanze la moglie di Domenico Criscito attualmente allo Zenit di San Pietroburgo, non è stato sequestrato alcun oggetto. Gran parte delle operazioni si sono svolte nel Veneto, l’arresto del giocatore del Padova Omar Milanetto e la notifica dell’avviso di garanzia ad altri cinque giocatori ed ex giocatori, hanno impegnato la mobile di Venezia su delega della procura di Cremona coordinata dallo Sco di Roma. Gli agenti hanno notificato il provvedimento restrittivo a Milanetto a Torino dove era giunto sabato scorso dopo l’ultima partita. Il giocatore aveva lasciato Padova ed è stato seguito fino al capoluogo piemontese dove aveva raggiunto la famiglia. L’accusa è di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva e alla truffa sportiva. Contemporaneamente sono scattate altre 4 perquisizioni e la notifica degli avvisi di garanzia. Una delle perquisizioni ha riguardato un altro giocatore del Padova, Vincenzo Italiano, raggiunto nella sua abitazione. Poi a Verona, all’interno della sua villa sulla strada statale 26, è stata la volta del giocatore del Chievo Sergio Pellissier con il sequestro, tra l’altro, di quattro tra computer e tablet. E, sempre su mandato della Procura di Cremona, si è messa in marcia anche la mobile di Aosta entrando a Fenis nella residenza del centravanti del Chievo.
Analoga sorte a un altro giocatore del Chievo, il brasiliano Luciano Siquera De Oliveira. Gli avvisi hanno riguardato anche i fratelli Federico e Michele Cossato che hanno giocato sia nel Chievo sia nel Verona, anche se da tempo non più in attività. Da un anno la squadra mobile stava svolgendo indagini sempre su delega della procura di Cremona. Un lavoro capillare con intercettazioni, osservazioni e pedinamenti degli indagati, una rete fittissima, dalle puntate online nelle ricevitorie, agli incontri con personaggi poco chiari.
Scalpore anche a Vicenza per l’arresto del portiere Paolo Acerbis, sebbene la società veneta si sia subito chiamata fuori, completamente estranea alla vicenda in quanto l’eventuale responsabilità dell’estremo difensore è legata ad un episodio avvenuto durante la sua permanenza al Grosseto. L’avvocato Andrea Fabris, legale del club veneto, ha voluto precisare che la società non ha nulla da temere: «Il Vicenza è assolutamente estraneo al fatto e quindi per quanto ci riguarda non abbiamo nulla da temere. Tuttavia non nascondiamo il dispiacere per la vicenda umana che riguarda un nostro tesserato. Paolo è con noi da quasi due anni, ha legato molto con questo gruppo di giocatori e ha sempre avuto un comportamento impeccabile».
Ma lo scandalo ruota principalmente intorno a Genova con quattro fra calciatori ed ex del Grifone, l’arrestato Omar Milanetto e gli indagati Criscito, Sculli, Kaladze. Un ex della Samp, Cristian Bertani, rinchiuso in carcere. In contemporanea con il blitz di Coverciano, gli agenti della polizia giudiziaria hanno perquisito l’abitazione del difensore della nazionale nel quartiere di Nervi. La combine avrebbe riguardato anche la partita Genoa-Lazio del 14 maggio 2011. Giuseppe Sculli, nipote del presunto boss Giuseppe Morabito «U Tiradrittu», e Domenico Criscito erano stati fotografati il 10 maggio durante un summit avvenuto davanti a un ristorante genovese con il cosiddetto clan della banda degli zingari, assieme con due ultras rossoblu. Secondo gli investigatori sarebbe servito per organizzare la partita truccata. Il 12 maggio venne registrato un altro incontro tra Milanetto e un emissario della gang internazionale, il quale sarebbe stato incaricato dal 31enne di Locri di raccogliere un’ingente somma di denaro destinata alle scommesse. «Criscito ha partecipato all’incontro perché gli era stato chiesto dai tifosi dopo la sconfitta - ha detto il procuratore del calciatore, Andrea D'Amico -. Andiamoci piano, non basta essere ripresi con soggetti che possono essere delinquenti per essere accomunati a loro». Anche i legali di Kakha Kaladze entrano in pista: «Assoluta estraneità del nostro assistito». Kaladze, attualmente in Georgia, si è immediatamente messo a disposizione dell’autorità giudiziaria.
Il Gip di Cremona Guido Salvini, nell’ordinanza con la quale respinge la richiesta di arresto da parte della Procura di Cremona per Giuseppe Sculli, sottolinea da parte del giocatore «l’utilizzo di personaggi inquadrabili nella criminalità organizzata, quale l’albanese Safet Altic, attualmente detenuto per fatti concernenti la droga, i rapporti con la parte più estrema degli ultras del Genoa, quali Massimo Leopizzi, già coinvolto in fatti come la combine di Genoa-Venezia che nel 2004-05 portò alla retrocessione dei grifoni, e recentemente coinvolto negli incidenti avvenuti 22 aprile 2012 allo stadio di Marassi». Secondo l’accusa Sculli avrebbe organizzato, attraverso il pregiudicato Altic di cui era amico, una raccolta di denaro destinata ad alimentare le scommesse su Lazio-Genoa del cui risultato oggetto della corruzione degli zingari era al corrente tramite i suoi ex compagni di squadra Milanetto, Zamperini e Mauri. Due giorni dopo il match, Sculli, solo indagato a piede libero, avrebbe partecipato a Milano a un summit assieme a Ilievsky, Zamperini, Milanetto e Dainelli.
Secca la reazione del presidente del Genoa Enrico Preziosi, che prima non ci voleva credere e poi ha detto di rispettare il lavoro della magistratura, aggiungendo: «L'unico presidente che si è permesso di dire che devono andare in galera tutti, rischiando la propria pelle e qualche minaccia di troppo, ma che continua a viaggiare senza scorta, sono stato io. Non un giornalista, nè un altro dirigente, ha cercato di mettere in risalto questa mia posizione. Quando si denuncia non si dà risalto alla cosa. Denunciare mi è costato parecchio. Non voglio giustificare nessuno».
(Ha collaborato Fabrizio Graffione)
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