Il Giro del "famolo strano": a Cervinia vince un caraibico

Paradosso: la prima tappa alpina va al costaricano Amador. E i big diventano un problema: Basso & C. non crescono

Il Giro del "famolo strano":  a Cervinia vince un caraibico

nostro inviato a Cervinia

Come si fa a parlare di biciclette quando criminali vigliacchi fanno saltare le bombe davanti alle scuole, tra le nostre ragazzine. Si fa, bisogna farlo. Chiedo il permesso e procedo per dovere d'ufficio, maledicendo assieme all'intera carovana i luridi satana di quell'attentato. E che l'Inferno se li prenda.

Quanto al Giro d'Italia, almeno quello, vive la storia lieve del primo costaricano a fare centro in rosa. Valoroso Amador, un uomo sempre all'attacco. Ultimo al Tour 2010, è più noto perché un giorno, pedalando a casa sua, certi sgherri lo rapirono per rubargli la bicicletta. Vincendo sul traguardo di Cervinia, porta certamente una bella dose di ironia geografica: non succede tutti i giorni che a dominare la tappa alpina d'apertura, trionfando a quota duemila, sia un caraibico. È un Giro così. Dopo la prima maglia rosa ai lituani, dopo la prima maglia rosa ai canadesi (Hesjedal se la riprende una seconda volta), Amador lascia un altro segno eccentrico sulla grande corsa. Bisogna al più presto cambiare lo slogan pubblicitario: per evidente facilità del percorso, il Giro non è più "la corsa più dura del mondo nel paese più bello del mondo". Il nuovo spot, lo spot giusto, è molto più corto: "Giro, famolo strano".

Tutto è piuttosto stravagante, in questo Giro col braccino. Nella tappa annunciata come un mezzo giudizio universale, facendo quattro conti, non c'è giudizio per nessuno. Mentre Amador batte De Marchi e Barta nel Giro di seconda divisione, che non riguarda la maglia rosa, i grandi, per il momento presunti e sedicenti, si controllano fino a cinque chilometri dal traguardo, messi sempre in fila da Basso e dalla sua squadra. A quel punto, nessun attacco feroce: solo qualche timida imitazione. Ci prova soprattutto Rodriguez, duecento metri non di più, ci prova pure l'economista-pianista-meteorologo Pozzovivo, al massimo cinquanta metri. Il più pronto a rispondere è sempre Scarponi (per tutta la giornata servito e riverito dal gregario Cunego, pronto a sacrificarsi in una fuga da lontano). Gli altri, in difesa. Basso per primo, che come noto ama gli scatti quanto le cartelle di Equitalia.

A seguire, sul traguardo affollato di tifosi e gelato dalle nuvole basse, la litania dei lamenti. Scarponi: «Tappa lunga e dura. Ci si controlla. Le pendenze non c'erano, a me va bene così». Rodriguez: «Ho sofferto tantissimo. Ho temuto anche di staccarmi. Poi nel finale ho provato a rincorrere Hesjedal, per salvare la maglia rosa, ma mi è mancata la forza». Pozzovivo: «Ho sofferto il freddo, però sono contento per avere tenuto bene». Infine Basso, che dice la stessa cosa da Herning, primo giorno in Danimarca: «Tappa molto impegnativa. Da come mi sentivo, nel finale ho preferito non azzardare nulla. Adesso pensiamo a domani, tappa ancora più dura».

E l'annunciato cataclisma? Lo dicono in coro, tutti i giorni: domani. Che è oggi per chi legge. E in effetti questo arrivo al Pian dei Resinelli, passando per il perfido Valcava e quindi per gli insidiosi budelli della val Taleggio, tra l'altro sotto il diluvio annunciato, potrebbe davvero fare più danni del Cervino. Ma ad una condizione: che i grandi crescano, perché al momento appaiono ancora piccoli. Raccontano tutti, qui in Giro, che purtroppo la corsa è dominata dalla paura. Questo il motivo: il nuovo ciclismo sarebbe senza doping, quel doping magico e portentoso che consentiva andature pazzesche e scatti a ripetizione, dunque i nuovi ciclisti starebbero resettandosi sulle proprie forze. Sarebbero cioè atleti che soltanto adesso cominciano a tararsi sui propri limiti umani, terrorizzati di fare il passo più lungo della gamba, di pagare pesantemente ogni errore nella gestione personale. Così, avendo pochi colpi in canna, stanno attentissimi a spararli. Li tengono per i momenti cruciali, che in questo Giro sono concentrati nelle tre tappe di fine settimana (Pampeago, Cortina, Mortirolo-Stelvio).
È fuori discussione: la teoria è molto fondata. Indubbiamente il nuovo ciclismo è meno taroccato, più civile ed umano. Però non esasperiamo il teorema: il rischio è che diventi comodo alibi per pigrizie, lassismi, codardie. Chiunque capisce che anche ad andature meno spaziali si può comunque giocare di coraggio e di fantasia.

Diamine, non è cosa vagare per tre settimane aspettando tre giorni. Se l'orientamento è questo, l'anno prossimo ci diamo tutti appuntamento sul Mortirolo e la chiudiamo in un pomeriggio. Ciclismo dietetico: dosi minime che lasciano sempre una fame boia.

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