Goetze e Rodriguez la new generation che spegne le stelle

La magia del Mario tedesco oscura l'illusionista Messi. Flop di CR7 e il Real Madrid vuole il capocannoniere

Goetze e Rodriguez la new generation che spegne le stelle

Aspettavamo le stelle, sono arrivati i ragazzi. C'è tanta new generation in questo album del mondiale. Dici Mario Goetze e ora sai cosa intendi e così Andre Schurrle l'uomo delle tre regole (controllo, velocità, coordinazione) e dei ritagli di partita nei quali rifilare gol o assist, come quell'ultimo che ha preteso il fantastico aggancio-gol di Goetze. E ancora James Rodriguez, il calamity per i portieri avversari, il capocannoniere di questo mondiale: 6 reti e gli assi dietro, a sbavargli. Si parla di facce, piedi e stili. Aggiungete il gioco da trascinatore di Neymar, che ha dimostrato quanto vale sul campo ma pure quanto conta quando non c'è. Ed anche la fresca prepotenza tecnica e fisica di Paul Pogba, premiato come miglior giovane del torneo. Pizzicando qua e là tra Costarica e Olanda, tra Cile, Belgio e appunto Colombia non si sbaglia. Vogliamo capirci? Il pallone ha lanciato il messaggio, da non sottovalutare: le ultime foto spettano alla spavalderia del Super Mario tedesco e al sorriso largo, le braccia al cielo e il numero 10 sulla maglia di James Rodriguez dopo ogni gol. Raccontano imprese che contano, scritte da un talento tedesco classe 1992 e dalla seta di un ragazzo classe 1991, nato ai margini di una foresta: ovvero 22 e 23 anni. Qualcosa di meglio dei 26-28enni che volevano farla da padroni. Il nuovo calcio è questo e il mondiale ci ha voluto ossigenare con una brezza di qualità, tanto per non uscire delusi dal Messi «ci sono e non ci sono», per non rimpiangere la bravura di Robben e qualche altro vecchione, per non catalogare Ronaldo alias CR7 fra i desaparecidi.

La Germania vinse l'ultimo campionato del mondo affidando il rigore, poi decisivo, al piede preciso di Andy Brehme che allora (1990) aveva trent'anni, teneva posto da titolare nell'Inter ed era nel pieno della qualità calcistica: arrivò terzo nella classifica del pallone d'oro. Stavolta non c'erano (ancora) rigori da tirare. Joachim Loew ha pizzicato dalla panchina Mario Goetze e gli ha detto: «Adesso entra e fai vedere al mondo che sei più bravo di Messi». Goetze è un artista dal giovanile ardore e come tanti superdotati va tenuto per le briglie. Guardiola gli ha fatto conoscere meglio la panchina nel Bayern, anche durante le due semifinali di Champions con il Real Madrid: un quarto d'ora in campo, il resto a far da spettatore. Loew lo ha lanciato nella prima sfida del mondiale, poi lo ha rimesso a sedere. Sistema Pep, salvo rifilargli quell'iniezione di megalomania nel momento del vivere o morire calcistico. Messi era là che vomitava, Mario si è fatto Supermario con un gioco di acrobazia e bravura.

I predestinati intuiscono il loro destino e lo sfruttano. E come lui altri ragazzi che hanno dimostrato al mondo quanto valga un campionato del mondo se hai la stoffa. O se non sei Messi, che ha la stoffa ma non il quid di un Maradona. La Germania ha fatto sfilare la new generation di successo: Thomas Muller che tutti conoscevano, ma pure Tony Kroos che ha già valigie pronte per andare a Madrid, Andrè Schurrle che, insieme a Goetze, rappresenta il primo nazionale nato nella Germania unita, uno che faceva il chitarrista anche in campo, ed ha fatto cantare tutto lo spogliatoio del Chelsea.

Germania che possiede nel curriculum e nelle idee di Joachim Loew il meno santone fra gli allenatori della panchina, dal basso dei suoi 54 anni. Il ct è autore e rappresentante di un progetto nato dieci anni fa, con Jurgen Klinsmann, e che non si vergogna a raccontare i meriti altrui: «Ancelotti, Jurgen Klopp (tecnico del Borussia Dortmund ndr) e Guardiola hanno fatto migliorare i nostri giocatori ed ora abbiamo davanti diversi anni di buon calcio». Pensava ai ragazzi appena diventati campioni, ma anche a quelli che stavolta ha lasciato a casa. E qui siamo già al gioco delle parti tra chi vorrebbe intestare questa Germania nuova formula alla lezione di Guardiola, nel suo anno al Bayern, oppure accreditarla alla capacità di Loew del gestire un blocco modellandolo con altri giocatori ed altre qualità.

Sarà, ma la Germania mai come oggi è stata unica e unita: nello stile e nell'immagine.

Conta il risultato, la Panzer division è sempre più squadra, magari con quella faccia nuova che la fa miglior padrona del gioco, e quelle facce giovani che l'hanno fatta padrona del mondo.

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