La grinta di Arianna: "In pace per i Giochi"

La Fontana svela la sua vita tra successi e tensioni con Federazione e compagne

La grinta di Arianna: "In pace per i Giochi"
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Ancora non conosceva la pressione di accontentare taccuini e microfoni e così, in quella prima intervista, che gira ancora su you tube, Arianna fu totalmente spontanea e sincera: «Vuoi vincere la Coppa?», «Credo di si», rispose lei, lo sguardo vispo ed azzurro che spuntava dal ciuffo biondo e dal casco storto, i piedini che dondolavano nel vuoto pattini troppo grossi.

La storia di lady Fontana potrebbe essere tutta li, perché da quel convincimento granitico di bimba, alle sue otto medaglie olimpiche di signora dello short track, il filo di Arianna non si è mai spezzato. Bambina prodigio, a Torino 2006, quando vinse il primo bronzo a 15 anni e 314 giorni. «Più che il record di essere tutt'oggi la più giovane olimpionica azzurra, io ricordo i minuti eterni di attesa dopo il traguardo»: Cina squalificata, staffetta azzurra sul podio, grazie a quella freccia bionda che da Polaggia di Berbenno si issava sul podio. Quattro anni dopo, a Vancouver 2010, Fontana ha nel mirino una medaglia individuale: nei 500 metri «mi infilo fra due canadesi e non mi fido più a superare». Resta ancora di bronzo, ma nei Mondiali del 2011 le medaglie cominciano a fioccare in abbondanza. «La mia famiglia ha fatto molti sacrifici», ricorda lei: papà frontaliere, era mamma che portava i suoi figli sul ghiaccio a Lanzada, in Valmalenco. Dopo un anno, la società chiude: si va a Bormio e sono ore di traffico, sonno e fatica in auto.

Arianna, però, ha la stoffa e il carattere: capitana per dna, il suo carisma trascina, ma a volte divide ed esalta i mugugni fra le compagne, un po' ancelle, un po' gregarie. Intanto arriveranno anche 17 medaglie mondiali, 17 vittorie in Coppa e 50 podi e quindi anche il diritto di fare richieste: Arianna è lo short track in Italia. Così da Bormio ci si sposta a Courmayeur, con il valzer degli allenatori e il mantra che giustamente i big si possono permettere: «Chi mi ama mi segua». A inseguirla, poi, arriva Anthony Lobello, ex collega americano, futuro marito amatissimo. Arianna sposa anche il suo metodo e lo vuole come coach: «Lo short track stava cambiando, io ero come svuotata, con lui sono rinata». E tante volte. A Sochi 2014 Arianna centra tutte le finali, tranne una, e son 3 medaglie su 4 gare, con due bronzi e quell'argento amaro, sempre nei 500, «dopo che in tre finiamo gambe all'aria». «Mi rialzo, ma sento che potrebbe essere la mia ultima gara importante». E invece: chiude da portabandiera in Russia e riapre i suoi nuovi Giochi in Corea del Sud, 4 anni dopo, sempre sventolando il tricolore. «Volevo l'oro olimpico». Se lo prende nei 500 «per 22 centimetri» e centra anche tutte le finali con altre due medaglie, trascinando, come sempre, anche la staffetta delle compagne. Stavolta giura: «Basta così». Negli ultimi tempi ormai fa vita e training a sé, va in America, prende pause sabbatiche, da cui, però, torna più forte e motivata. Ultima frontiera l'Ungheria e il ghiaccio di Budapest.

In Italia torna per le staffette, le incomprensioni proseguono, «ma ora facciamo una tregua olimpica e pensiamo a Pechino 2022».

Milano-Cortina 2026? «Avrò 35 anni, però, sarebbe super chiudere con un'altra olimpiade italiana». E rispondere ancora sicura come quella bimba che voleva la Coppa e se le è prese tutte.

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