«Perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia». Vasco Rossi nella sua Sally rappresentava così quell'esile frontiera da varcare, in un labirinto di dubbi e incertezze. La vita è questo e, per chi compete, raggiungere la stabilità è complicato. Il 2021 è stato l'anno dei trionfi italiani nello sport e chi si trova a raccontare le gesta degli azzurri deve costantemente aggiornare l'elenco dei successi. Il Bel Paese, dall'oscurità della pandemia, è stato abbagliato dalla luce delle vittorie di chi è riuscito a mettere insieme i pezzi del puzzle. L'ultima firma che viene in mente in ordine di tempo è quella di Sonny Colbrelli. Lui, spesso piazzato, a 31 anni suonati si è tolto la soddisfazione di vincere la Regina delle Classiche, la Parigi-Roubaix. L'arrivo sul magico velodromo, il sigillo in volata e un urlo di gioia con la bicicletta rivolta verso il cielo sono stati gli ingredienti dell'impresa. La vittoria dell'uomo che sui pedali ha trovato la maturazione. «Quest'anno la mia mentalità è cambiata. Ho chiesto il sostegno di un mental coach e dentro di me c'è qualcosa di diverso. Questo è ciò che ha reso il mio anno speciale», le parole del corridore, che ieri ha rinnovato con il contratto con la Bahrain Victorious fino al 2023.
Non una novità. L'importanza di chi interviene nella testa è aspetto rilevante nell'annata dei sogni. Non si parla del druido Panoramix, ma di un preparatore che sa toccare le corde giuste da un punto di vista motivazionale. Marcell Jacobs, oro olimpico a Tokyo nei 100 metri, ha rivolto i suoi pensieri a Nicoletta Romanazzi, ovvero colei che l'ha reso più tranquillo e concentrato in gara. Una maturazione di chi a 27 anni ha saputo guardarsi dentro e darsi una seconda possibilità. Percorso comune al compagno di Nazionale abbracciato poco dopo il trionfo, ovvero Gianmarco Tamberi (oro olimpico nel salto in alto). Anche Gimbo deve ringraziare un altro mental coach, Luciano Sabatini, che c'è dietro la sua rinascita dopo l'infortunio che ebbe poco prima di Rio 2016. Sono questi i campioni dell'era pandemica, in grado di rialzarsi dalle cadute e di sublimare la ferrea determinazione nel raggiungimento del traguardo prestigioso.
Salute mentale, condizione indispensabile per centrare l'obiettivo. Ne ha parlato un altro esponente della second life, uscito distrutto da Barcellona '92, capace di risorgere dalle proprie ceneri ad Atlanta '96 con la doppietta olimpica nei 200-400 metri. Si parla di Michael Johnson che sul quotidiano spagnolo Marca nei giorni scorsi aveva svelato alcuni aspetti interessanti: «Mi ero allenato tutta la vita. Amavo il mio lavoro. Ma potevo fallire. Potevo deludere i miei compagni. Ai Giochi di Barcellona avevo 24 anni. Ero imbattuto nei 200 metri da due anni, ero campione del mondo e favorito per l'oro. Poco prima dei Giochi ho avuto un'intossicazione alimentare. Dopo essermi ripreso, non pensavo che la malattia mi avrebbe colpito in pista. Mi sentivo bene. Fino a quando il colpo di pistola non ha dato il via. In quel momento mi sono sentito come se corressi nel corpo di qualcun altro. Sono passato ai quarti di finale, ma non sono arrivato in finale». E quindi l'affondo: «La salute mentale è una questione che ci riguarda tutti.
Quando si arriva al livello dove sono arrivato io, o dove sono Naomi Osaka e Simone Biles, fai il tuo lavoro davanti a milioni di persone». Pressione con cui convivere e da gestire, grazie al supporto di chi può indicare la via da seguire.
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