Un'italiana a New York: Flavia Pennetta sarà per sempre questo. Lo è dal 2015, anno fantastico del nostro tennis femminile, quando lei e Roberta Vinci si giocarono il titolo degli UsOpen, uno Slam per due che però poteva vincere solo una. Nove anni dopo Jannik Sinner proverà fare altrettanto: «È una sensazione che non si può descrivere quando ci sei dentro. Soprattutto poi se il torneo lo vinci».
Per Flavia fu la prima grande finale in carriera, dopo la quale disse subito basta. Per Jannik c'è già stato il trionfo in Australia, e naturalmente anche per la Pennetta opinionista, quello che è oggi dopo aver lasciato la racchetta non può che essere favorito. Però «è vero che per Fritz è una prima volta: solo se sei abituato a partite così sai come gestirti. Ma gioca in casa, con il pubblico americano a favore. Se si gasa può diventare pericoloso».
New York, insomma, è un fattore da domare.
«È un fattore da non sottovalutare. Anche se Fritz non è uno sciolto in generale, non è un trascinatore di folle come Tiafoe».
Meglio lui allora?
«Comunque no, perché Sinner contro Tiafoe non può mai perdere. Se invece Fritz gioca una partita perfetta, spinto dal pubblico, Jannik deve essere al 100%. Sennò il match complica».
Lo è stato, perfetto, in questo torneo?
«Ha avuto difficoltà all'inizio, poi ha trovato la forma. È successo anche a me quando ho vinto: primi turni tutti complicati, poi ho preso il mio ritmo e alla fine mi sentivo alla grande. Della semifinale contro la Halep, che era molto forte in quel momento, ricordo ancora oggi la sensazione di essere nel mio miglior momento di sempre».
E quindi: come hai visto Jannik?
«Tennisticamente bene, sempre meglio. Ha qualità incredibili, una velocità di gioco pazzesca. Paradossalmente la partita peggiore è stata la semifinale, hanno fatto tanti errori entrambi. Ma contro Draper credo ci fosse un fattore emozionale importante: loro sono tanto amici».
Cosa c'è da migliorare?
«Le percentuali di servizio. Ma siamo qui a spaccare il capello, eh?».
Meglio lui o Alcaraz?
«Carlos nella partita secca può essere ingiocabile. Ma la continuità di Sinner è pazzesca, e questo fa la differenza tra i campioni».
Il caso doping, dobbiamo parlarne...
«Giocare con quel problema è difficile, anche se non la definirei una cosa terrificante: se sei sicuro di te stesso puoi farcela. Certo bisogna essere un giocatore eccezionale, perché resta sempre la paura che c'è qualcun altro che decide per te. E che può commettere un'ingiustizia».
Lo è stata?
«Lo dico da atleta e non da commentatrice, e premetto che sono certa che sia stato un incidente. Però credo che il sistema abbia cannato, e questa è purtroppo la sensazione generale: il mood dei giocatori è che non tutti siano stati trattati allo stesso modo».
Ma è stato un incidente.
«Ripeto: nessuno ce l'ha con Jannik, non è una questione personale contro di lui. Ma è generale contro il sistema che purtroppo, in questo caso, non si è comportato come aveva sempre fatto. Ci sono troppe domande senza risposte: è giusto che ora sia sempre così? Cambieranno le regole? È stato così perché era in ballo un numero uno del mondo e magari c'era la pressione degli sponsor? Insomma: un bel disastro».
Meglio dare il caso in pasto ai social?
«In linea di principio no. Però l'indagine è durata da marzo ad agosto: se in quel periodo Sinner avesse vinto Roland Garros, Wimbledon e la medaglia olimpica, e poi si fosse scoperto che era colpevole, che si faceva? Dicevano scusate abbiamo sbagliato?».
Cosa fare, allora?
«Pensare concretamente come trovare un equilibrio tra la tutela del singolo e quella degli altri giocatori. È stato un incidente, ma incidenti così ce ne sono stati e il procedimento è stato condotto in modo diverso. Il problema è la perdita di fiducia nel sistema: come giocatore devi essere sempre disponibile e accettare che vengano a fare prelievi a qualsiasi ora. Molti adesso si chiedono per cosa debbano fare questi sacrifici».
Torniamo alla finale: cosa ti auguri?
«Che Jannik vinca e che venga da me con la coppa a fare la foto: le mettiamo insieme, una per gli uomini e una per le donne, e chiudiamo il cerchio».
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