Juventus, Inter e Milan. Dall'"ultima" partita in A al cerino in mano

Le tre scissioniste in campo. In poche ore sono passate dalle minacce ricevute all'imbarazzo

Juventus, Inter e Milan. Dall'"ultima" partita in A al cerino in mano

Ma davvero c'è qualcuno in circolazione, nel mondo del calcio italiano, che pensava di poter mettere alla porta Juve, Inter e Milan? E magari fantasticava che quella di stasera potesse diventare l'ultima apparizione in serie A delle tre? La risposta è naturalmente scontata. Eppure c'è gente, gente di calcio, che risponde di pancia, alcune volte senza nemmeno risultare ben informata sulle modalità della superlega, con dichiarazioni da guerra nucleare o con scivoloni pericolosi. È il caso, ad esempio, di Gosens, tedesco dell'Atalanta, che paragona addirittura l'iniziativa calcistica agli effetti del Covid e affida a Kicker la frase testuale: «Quei 350 milioni se li infilano su ». Sorvolando sulla volgarità, c'era chi accarezzava anche l'idea di un clamoroso boicottaggio, soltanto evocato naturalmente e non realizzato, come Roberto De Zerbi, apprezzato tecnico del Sassuolo, atteso stasera a San Siro dalla sfida col Milan. «Non vorrei giocare con chi ha aderito alla superlega, se Carnevali mi obbliga lo farò, si tratta di un colpo di stato» così aveva liquidato la questione introducendo nella sfida di campionato un surplus di acido e veleno che non gioverà né alla partita e nemmeno al clima dei prossimi giorni.

Prima del caos inglese serale, dei tentennamenti dei club d'Oltre Manica, di un paio degli spagnoli, da noi il controcanto era stato affidato ad Andrea Pirlo che pronosticava «uno sviluppo per il calcio». A casa Milan, Pioli pensava solo a come districarsi tra acciacchi e assenze, così sulla materia aveva lasciato la parola all'ad Ivan Gazidis che nella lettera di spiegazione agli sponsor aveva scritto «rappresenterà l'inizio di un nuovo entusiasmante capitolo del calcio... non vedo l'ora che cominci». Ecco, allora, prima che la sera incendiasse il progetto spiazzando e imbarazzando i tre club italiani, l'altro spunto che aveva tenuto fin lì banco: la superlega voleva e vuole correre per provare a tagliare lo striscione inaugurale del torneo nel prossimo autunno. La conferma era arrivata da Anas Laghrari, segretario generale della neo organizzazione calcistica, che spiegava al pubblico francese la formula («non è un torneo chiuso, ogni anno un quarto sarà rinnovato») e raccontava degli studi di settore.

Fatto sta, per tutta la giornata il clima tra i club era stato da ultimi giorni di Pompei. Perché al netto delle decisioni Uefa nell'assemblea di serie A c'era una voglia matta di mettere fuori i tre della scissione europea. Il quadro, sotto gli occhi di Dal Pino, il presidente, rimasto finora in rigoroso silenzio ma spaventato dagli effetti dell'eventuale divorzio, era il seguente: 12 club, guidati da Cairo e Ferrero ai quali si era aggiunta la Roma con una nota molto dura nella quale comunicava di essere «fortemente contraria a questo modello chiuso», erano e sono per l'esclusione delle tre mentre altri 5 con in testa de Laurentiis e Lotito, non erano saliti sulle barricate. D'altro canto la stessa dichiarazione di Giovanni Carnevali, ad del Sassuolo, era una indiretta ammissione della difficoltà di proseguire su questa strada. Sotto la spinta dell'ira aveva minacciato: «Scamacca adesso vale 40 milioni e non più 25 milioni!».

Comunque vada ora a finire la vicenda Superlega, il quesito da rivolgergli sarebbe il seguente: scusi, ma con Juve, Inter e Milan fuori dal mercato, chi potrebbe pagare queste cifre? Lo Spezia, il Benevento? Ecco il nodo che resta: così si spinge comunque il calcio di serie A, appesantito dai debiti, sul ciglio del burrone.

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